Nella teoria dell'informazione, il tasso di informazione di un flusso di simboli (pensiamo ad esempio ai bit, quelli che circolano nei cavi e nell'etere quando scriviamo un post o cinguettiamo, o discutiamo nei vari social network) è definito come il rapporto tra i simboli che effettivamente portano l'informazione e quelli totali impiegati per veicolare il messaggio.
I simboli che portano l'informazione equivalgono a quelli totali impiegati per veicolare il messaggio diminuiti dei cosiddetti simboli ridondanti (cioè inessenziali ai fini del contenuto informativo). La teoria dell'informazione ci dice, però, che i simboli ridondanti sono essenziali per poter rendere il messaggio stesso più robusto rispetto ai disturbi presenti nel mezzo che lo veicola.
Riassumendo: per poter veicolare un messaggio su un mezzo occorre trasmettere, insieme al messaggio stesso, anche dei simboli per evitare degli effetti distorsivi. Tali simboli, però, non contribuiscono all'informazione.
Il problema nasce quando si utilizzano troppi simboli ridondanti: il mezzo non ce la fa a sostenerli ed è costretto a filtrarli. Fisicamente. Accade quindi che si perdano per strada anche quelli che portano informazione.
Portando il ragionamento su un piano, come dire, più umanamente percettibile, non si può non pensare alla ridondanza di tante parole e contenuti da cui siamo sopraffatti quotidianamente in Rete nelle discussioni [nei Social Media]. Entrando in una metafora si direbbe, quindi, che i contenuti apparentemente ridondanti e inutili, contribuiscono ad irrobustire il nucleo informativo, a dargli in qualche modo un significato, un senso.
Il rischio del ragionamento è quello di entrare in un paradosso. Il problema di fondo, che comunque resta, è quello della ridondanza e delle possibili soluzioni per poterla eliminare [il più possibile].
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Clay Shirky, nel suo contributo all'Agenda 2011 dell'Harward Business Review, dice che la questione è puramente tecnologica ([...] But dismal online conversations aren't part of the state of nature; everything online takes place in a constructed environment. That means bad discourse isn't a behaviour problem, it's a design problem. [...]). E che, quindi, è tecnologicamente che va risolto il problema abilitando opportunamente le piattaforme.
Non credo di essere d'accordo (se ho bene inteso il ragionamento) perchè vedo in questa analisi una visione assoluta di qualcosa che invece è necessariamente da relativizzare: le cattive conversazioni cui si riferisce Shirky, molto probabilmente, cattive lo sono anche per me. Ma eliminarle tecnologicamente significherebbe negare la possibilità di connessione a chi invece le ritiene sensate.
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Stamattina Valeria Maltoni segnalava un articolo in cui viene posto l'accento sulla natura delle informazioni nei Social Media: il sistema delle informazioni non è soltanto alfabetico ma è anche fatto di foto, di semplici toni e di messaggi in una ridondanza che contribuisce a dare significato alle informazioni stesse. Con una visione diversa tale ridondanza è destinata ad essere percepita soltanto come rumore (noise).
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Ritorniamo quindi al punto di partenza: ammessa l'esistenza del problema della ridondanza, la soluzione deve essere tecnologica oppure "umana"? Bisogna tagliare ciò che è ridondante tranciando il cavo che connette gli agenti che se ne fanno promotori o apprezzarne il valore (semplicemente evitando ciò che non si ritiene abbia senso)?
Per utilizzatori esperti la seconda soluzione è già in atto.
Per i tanti che esperti non sono occorre una politica di indirizzo, che investa in tecnologia e piattaforme, da parte di attori che acquisiscano prima e divulghino poi un'autentica Cultura Digitale.
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