mercoledì 24 ottobre 2012

Small e Slow, altro che Big Data!

I dati vengono prodotti ad una velocità vertiginosa. Si riempiono dei database immensi con record lunghissimi. Viene immagazzinato ogni tipo di informazione. Si forma così il Big Data che, ci ricorda Vincenzo Cosenza, è - per l'appunto - caratterizzato dal tre attributi peculiari: volume, velocity e variety.

Durante un intervento di Vincenzo Cosenza a YouDem.tv, in un servizio che guardava alle imminenti elezioni USA, si è parlato di Big Data come la tecnica di analisi di ricerca di umori e di opinioni di ogni singolo elettore che intercetta gli incerti per sapere perchè vanno a votare un determinato candidato: in Big Data, si dice, c'è il cuore pulsante della nazione; chi lo possiede vincerà le elezioni. Si tratta di monitorare tutte le informazioni, tra quelle messe in rete spontaneamente dalle persone, per modellare poi il messaggio dei candidati con ciò che poi il corrispondente dagli USA della Stampa, Maurizio Molinari, ha chiamato micromarketing.

Lo scenario è davvero inquietante. In un articolo segnalato qualche tempo fa, Digital Power in World Politics, si parlava di Torre di Cuntz come modello della Rete Attuale per dare l'idea della mole di informazioni che ormai la Rete stessa custodisce. Credo, però, che il problema sia anche la velocità con cui questi dati vengono prodotti e la pretesa che ciascuno di noi ha di possederli e controllarli: gli aggiornamenti dello stato di Facebook o di Twitter, i link di articoli interessanti segnalati, i post sul blog personale: le timeline si riempiono e parlare di overload informativo diviene quasi eufemistico. Certo: un conto è essere lo staff elettorale del candidato alla Presidenza degli Stati Uniti d'America, un altro è essere un privato cittadino come me.

Come reagisce il mainstream che ha strumenti di controllo sufficientemente potenti da potersi permettere questo controllo? I politici modellano il proprio programma; i canali televisivi propinano spazzatura e via dicendo. Come reagisce il singolo utente? Se parlo della mia esperienza personale, devo confessare un senso di frustrazione.

Quali le possibili soluzioni? Per il mainstream la scelta è loro, non possiamo far nulla se non - dopo un atto di consapevolezza che dovrebbe farci sentire delle vittime, in quanto record di un database, imprigionati dentro quella torre di Cuntz - fruire delle offerte in modo critico e "interrompere mentalmente il flusso e predere una posizione autonoma" (cit.); ad esempio spegnendo la TV, clickare altrove o votare fuori dallo schema (è ancora tutto da vedere se, in Italia, il sentiment e l'engagement online siano dei precursori del risultato elettorale).



Oltre questo, dovremmo prendere coscienza anche del fatto che non possiamo dominare il nostro personale Big Data, fatto di tutto quello che ci siamo disegnati attorno con i Social Network e non solo. Lasciando immutato il tasso di Variety (fondamentale per la ricerca di legami deboli), dovremmo sicuramente agire, oltre che sul versante Volume, sulla Velocity (Small e Slow, quindi). In altre parole occorre andare più piano senza aver paura di perdersi nulla. Lelio Simi, in una affascinante riflessione sul tema della velocità dei nuovi media, riprendendo le Lezioni Americane di Calvino (le scopro da Lelio), dice: "esiste quindi una rapidità che (a differenza di quella ansiogena descritta perfettamente da Bartezzaghi) è il prodotto ultimo della lentezza. È quella che può essere realizzata anche al tempo dei mezzi velocissimi e del continuo, inarrestabile flusso di informazioni che ci sovrasta e annichilisce. Quella che non appiattisce la complessità del mondo, ma sa restituirla anche attraverso qualche tweet o un breve post. Che filtra i fatti che racconta attraverso i media sociali e li mette al vaglio della verifiche incrociate. Che cura i contenuti tra le migliaia depositati nella Rete (e non solo) cercandone connessioni e percorsi non banali per renderli interessanti, attuali e avvincenti a chi li legge (su un notebook, un tablet o uno smartphone o un qualsiasi altro aggeggio elettronico). Che è frutto del lavoro di chi non si improvvisa dall’oggi al domani esperto di un settore ma ne ha studiato prima dinamiche e scenari.

Ma anche la lentezza ha bisogno (spesso) di rapidità. Per comunicare efficacemente senza avvitarsi su se stessa, per togliersi di dosso il peso del superfluo, per trovare il dono della sintesi efficace e centrare l’attenzione del lettore. Per trovare leggerezza, coerenza con il ritmo dei nuovi mezzi, ed esserne alla fine ripagata dalla loro molteplicità e visibilità."

Slow Communication insomma. Un'accoppiata vincente con Slow News.

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