E' cambiato il quadro socio-culturale, è cambiato il quadro delle strutture della comunicazione, sono cambiate le tecniche, è cambiato il pubblico. Qui è la radice profonda della crisi del giornale, crisi che sarà superata se esso saprà trovare il suo giusto spazio nel pluralismo del sistema informativo, adattando le sue funzioni e il suo linguaggio alla esigenza di informazione, sempre più sentita, da parte del cittadino.
Queste sono le parole nella postilla alla sezione La Stampa di Informazione curata da Vitaliano Rovigatti nel libro Comunicazione e Partecipazione, edito dalle Paoline nel lontano 1979.
Singolare constatare che si chiudesse così un capitolo in cui, sebbene venisse riconosciuta la crisi della Carta Stampata [crisi che, evidentemente, cominciava a manifestarsi già da allora], lo stesso Rovigatti affermava anche che il Giornale non sarebbe mai scomparso a vantaggio di Radio e Televisione (*).
Rovigatti riportava ciò che qualcuno allora diceva: la Radio annuncia, la Televisione fa vedere e il Giornale spiega.
Due erano le pecche riconosciute nei concorrenti di allora del Giornale [Radio e Televisione, per l'appunto]: la mancata analisi di dettaglio della realtà e la provvisorietà del messaggio che, per la natura stessa del mezzo, può - come dire - perdersi quasi nell'etere.
Il Giornale, per l'uomo che Rovigatti a quei tempi inquadrava nella civiltà della scrittura, spaventato da tale provvisorietà preferisce la certezza di ciò che può toccare con mano [la Carta] e leggere con gli occhi [le Parole]. Il Giornale quasi come rifugio per chi, rendendosi conto dei propri limiti di percezione e memorizzazione, sente di conseguenza il bisogno di leggere ciò che ha ascoltato.
Curioso associare il discorso delle limitate capacità di memorizzazione di cui parla Rovigatti a quello che Ashby diceva nel 1956, a proposito dei sistemi chiusi [riporto il passo dalla pubblicazione che ho scovato alla ricerca di qualche altro riferimento sul Modello OSE: Information Ecology - Open System Environment for Data, Memories, and Knowing]:
The replacement of memory by procedures extends to a formal information processing argument that Ashby (1956) made about closed systems of all kinds. He argued that if we completely know a system in the present, and we know its rules of change (how a given input leads to a given output) then we don’t need to bring to mind anything about the past. Memory, he said, is a metaphor needed by a 'handicapped' observer who cannot see a complete system, and "the appeal to memory is a substitute for his inability to observe ..."
Come dire, fondendo le due cose, che, con il Giornale, le persone non fanno altro [consapevolmente o meno] che delegare la capacità di osservazione. Mi direte che ho appena affermato l'ovvio ma lasciatemi condividere il fascino del modo con cui si può riuscire ad esprimerlo.
Tornando a Rovigatti: egli denunciava ai tempi in cui il libro venne pubblicato la sostanziale mancanza di quella che poteva essere definita Stampa non solo per la comunità locale, ma della comunità locale. Rovigatti citava Dal Ferro:
Le persone ricercano nel Giornale le notizie sul pensiero e sulla vita del gruppo di riferimento e nello stesso tempo possono arrivare a ritenere il Giornale propria espressione. Questo è possibile in misura che il Giornale è locale, cioè è vicino al lettore, si interessa dei fatti che accadono e li esprime con un linguaggio e una sensibilità "locali".
Due sassolini nello stagno:
[1] Il riferimento al Sistema nel discorso della memoria mi porta a prendere in considerazione l'importanza di un sistema e della conoscenza di esso; un sistema che tantissimo mi parla di Processo [di fruizione del Prodotto informativo] che permette di avere a disposizione [qui ed ora] ciò a cui si è interessati.
[2] Il riferimento alla località del Giornale mi porta a credere che questa sia una delle ancore di salvataggio del Cartaceo.
(*) Perchè di Web, trenta anni fa, non se ne parlava affatto. Chissà cosa avrebbe mai potuto pensare e scrivere se avesse vissuto i tempi che viviamo noi!
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