Così, in uno dei suoi sagaci tweet Gaspar riconsidera il Manifesto.
Un richiamo all'attenzione, un incoraggiamento verso l'attuazione di dinamiche non prettamente materiali ovvero finalizzate - cioè - ad una mera transazione cosa/denaro; una esortazione che poi Gianluca sembra quasi avere ripreso nella sua regola aurea dei social media.
Una svolta social, quindi, che raccomanderei di estendere ben oltre i confini dell'Impresa e del rapporto che l'Impresa ha con le Persone, con i Cittadini. Uno sconfinamento che, soprattutto quando in gioco ci sono entità [le dovrei chiamare ancora Imprese, ma sarebbe meglio parlare di Agenti Sociali] responsabili della produzione e formazione di cultura (attraverso ben precisi passaggi), è quanto mai urgente.
Uno sconfinamento che, per un agente sociale quale è una testata giornalistica, può significare un link in uscita e non, come dice PierLuca, la pratica - ridicola, aggiungo io - del broken link.
E' normale che in questo processo sociale (non esclusivamente social) la tecnologia ha un ruolo abilitatore che sarebbe davvero miope ignorare. La tecnologia, l'infrastruttura-Rete, è [lo ribadisco solo per rendere più organico il pensiero] in grado di dare a ciascuno l'opportunità di contribuire alla crescita.
Di essa si può ammirare la potenza quando la pratica d'uso viene dal basso.
Attenzione, però, quando tale pratica d'uso viene di fatto imposta dall'alto. La Rete rischia di diventare, insieme con la trasmissione (eventualmente multimediale) di contenuti meramente popolari (cioè esclusivamente funzionali alla vendita di spazi pubblicitari), dozzinale cosmesi (stiamo su Facebook, quindi siamo fighi!) a danno inestimabile di chi, di Facebook e dei Social Network, fa uno strumento di aggregazione solidale, di preparazione al viaggio "di Bauman".
Un viaggio che, proprio del modello Internet, può, secondo Rifkin (con una visione da riflettere e valutare ma indubbiamente carica del fascino dell'utopia realizzabile), prendere le sembianze.
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