La terra, così come l’acqua, fornisce l’uomo, fin dall’inizio, viveri già pronti. Non nel senso di un’eccedenza ma piuttosto nel senso di un anticipo gratuito per un investimento, di una piccola somma per cominciare: “Le produzioni spontanee della terra si offrono in piccola quantità e del tutto indipendentemente dall’uomo. Si direbbe che siano fornite dalla natura allo stesso modo in cui viene data a un giovane una piccola somma di denaro per metterlo in condizione di aprirsi una strada nell’industria e di fare fortuna”.
Il lavoro separa le cose (foresta, acqua, sottosuolo) dalla loro connessione immediata con la terra: esse diventano così degli oggetti del lavoro e, quando si consideri il lavoro per prepararli, delle materie prime. Il lavoratore si serve di un insieme di cose interposte tra sé e l’oggetto del lavoro: sono gli strumenti del lavoro. Si servirà quindi delle proprietà fisiche, meccaniche, chimiche di alcune cose per farle agire conformemente al suo intento.
Questa è la citazione del pensiero di Marx che l’autore di Gratis!, Francine Markovits, colloca nel Capitolo dedicato alla storia della Gratuità. Dallo studio delle teorie economiche, che, nell’ambito della mia ricerca sul futuro dell’Editoria (e non solo), reputo fondamentali, traggo un’altra importante premessa alle riflessioni che poi voglio condividere: la misura del valore è strettamente connessa al lavoro (quello svolto per la produzione del bene e quello necessario per poterne beneficiare).
A questo punto, riprendendo il pensiero di Marx, faccio un parallelismo con il mondo dell’Editoria e del Giornalismo:
Quadro 1
- Le cose che la natura concede sono le “notizie nude”;
- Il lavoro che separa le cose è l’opera del giornalista in termini di scelta e di argomentazioni di approfondimento anche sulla base della linea editoriale;
- Gli strumenti del lavoro sono, per i giornali, i giornalisti stessi, le redazioni, le competenze.
Inquadrando così le cose, giungo ad una prima conclusione: le notizie nude devono essere gratuite così come gratuita è la cosa che la natura concede.
Un passo avanti: Michele Polo, nel suo Notizie S.p.A., sintetizza così i costi a carico di un quotidiano:
Quadro 2
- Assemblaggio Contenuti: costi fissi endogeni (dimensione delle redazioni, qualità e competenza dei giornalisti)
- Riproduzione dei Contenuti: costi variabili di stampa
- Distribuzione dei Contenuti: costi variabili di distribuzione
Non sono certo io a scoprire l’incidenza (tanto negativa da essere ritenuta responsabile di un imminente fallimento) dei costi variabili nella Filiera Editoriale ma mettendo insieme le equivalenze delle teorie di Marx e il Giornalismo (Quadro 1) e la struttura del costo di un Quotidiano (Quadro 2), appare ancora più evidente quanto i costi variabili contribuiscano poco o niente al valore (Nota).
Sembra chiaro, continuando il ragionamento, che ciò che va pagato (perché ha valore, almeno su un piano oggettivo) siano gli strumenti del lavoro che separa le cose (includendo in questa voce unica anche la competenza del giornalista).
Sono anche queste le ragioni per cui il Cartaceo ha poco futuro, almeno su base nazionale.
Ora, assumendo come vera l’ipotesi che la “notizia nuda” debba essere gratuita, sembrerebbe giustificata la posizione del lettore che non è disposto a pagare la notizia online. Una posizione di chi dichiara: “voglio il fatto e lo voglio gratis!”. E ci sarebbe da capire se, di fronte a tale (giustificato davvero?) atteggiamento, un approfondimento (che le ipotesi precedenti portano ad inquadrare in una logica di valore da ricompensare, da pagare – costo fisso) sia davvero oggetto del desiderio, sia davvero qualcosa che le Persone richiedono o meno. In altre parole, ha senso rendere disponibile un approfondimento ed un’occasione di discussione a pagamento? C’è reale domanda?
Considerato il successo di programmi televisivi di approfondimento (mi vengono in mente Italia Annozero, Ballarò, l’Infedele) si potrebbe rispondere che la domanda di approfondimento esiste. Del resto è anche vero che la relativa offerta non è esente da un esborso economico. Ma forse questo sfugge ai telespettatori che, presumibilmente, sono anche i potenziali fruitori di contenuti su mezzo stampa.
Giungo quindi a conclusioni non nuove ma che, viste anche da questa ulteriore angolazione, continuano a non sembrarmi assurde. Ci sarebbe da dare alle Persone l’opportunità di accedere alla rete (sarebbe davvero troppo distribuire gratuitamente le copie dei quotidiani; e, infatti, nessuno lo chiede!), incentivare in qualche modo l’acquisto della notizia (rivendendo magari le modalità di erogazione dei contributi statali all’Editoria) e del relativo approfondimento e, inoltre, innescare e cercare di alimentare il circolo virtuoso con un modello di microearning.
Questo darebbe alle Persone, una volta immesse in tale circolo, anche la possibilità di capire che il costo fisso (che va, cioè, oltre la gratuità della “notizia nuda”) non è una pretesa priva di ragioni ma il corrispettivo di un lavoro carico di enorme valore. (E il microearning sarebbe il modo di bilanciare il meccanismo perché riconoscerebbe anche il valore della discussione e di chi se è protagonista!)
A voi la parola.
Nota 1: la lacuna di questo ragionamento sta nel non riconoscere il valore, che andrebbe molto oltre il costo variabile, della distribuzione; una lacuna, però, tanto meno profonda quanto più ci si allontana da un mezzo (la Carta Stampata) per avvicinarsi ad un altro (la Rete).
6 commenti:
SE
il bene da produrre è "la conoscenza" [individuale]
ALLORA
la domanda deve venire prima dell'offerta
ALTRIMENTI
si produce conoscenza per gruppi d'interesse particolare [vested interest]
"Nonno Luigi"'s CPU [elaboratore centrale] ;-)
Il concetto di gratuità in economia è un po' più specifico. Si definisce gratuito ciò la cui abbondanza tende a infinito. Il vitello in Giappone costa molto di più del vitello in Italia, perché è più scarso. Se in un macrosistema (es. pianeta) i vitelli cadessero dal cielo, non esisterebbe commercio di vitelli. Se la notizia nuda tende ad essere un oggetto raro (e molta dell'alienazione sembrerebbe confermare questa cosa), allora essa stessa diventa non gratuita. Ecco perché il mondo giornalistico, oggi, tende a fregarsene delle notizie nude, ma a costruire notizie che sono scintillanti cortometraggi liberamente ispirati a fatti che in realtà sono brandelli di studi sociologici con molta abilità di montaggio e allungamento brodo. Guardatevi una puntata di Studio Aperto e ve ne renderete conto.
Nonno Luigi [per favore, non farmi pensare a te come ad una CPU :))],
certo che la domanda deve venire prima dell'offerta! Anche se quello dell'informazione [e, si spera, del relavito approfondimento] dovrebbe è un mercato a sè...la domanda, in un certo senso, è come se si dovesse assumerla come presente a prescindere. Chessò, come l'acqua: va fornita perchè ce n'è bisogno!
Phil the Geek,
grazie del commento e benvenuto a mdplab :)
La mia è stata una forzatura per cercare di inquadrare in termini economici il problema. Peccherà senzaltro, quindi, di fondamenta scientifiche!!
Credo che la notizia nuda, proprio in quanto nuda, non sia una merce rara. Insomma: i fatti accadono da sè e da raccontare, quotidianamente, ce ne sono a iosa. Il loro essere sensazionale è un fatto contingente. Sul Web la loro gratuità e ancora garantita e così devono rimanere le cose...
Purtroppo il fenomeno di cui parli esiste ed è dovuto a regole squisitamente commerciali [e questo non lo dico certo io] e, più che prenderne atto non si può fare. A meno di non rendersi protagonisti di una rivoluzione.
In questi giorni sto leggendo "Cattiva Maestra Televisione", il saggio di K. Popper. Lui parlava di una patente da dare a chi fa contenuti per la televisione.
Ho letto dei come e dei perchè aprire una scuola di Giornalismo in un saggio di Pulitzer...forse è troppo, ma ricominciare da qui non sarebbe male!
Marco e Phil
il mondo giornalistico, come ripeto ogni volta che ne ho l'occasione, ha iniziato a presentare la nuda notizia della disponibilità dei primi super calcolatori titolando i suoi articoli con frasi che parlavano di cervelloni.
La notizia della disponibilità dei super computer, per il giornalismo, era input.
Le notizie pubblicate dai giornali sui cervelloni erano output.
L'elaborazione della nuda informazione, che il giornalismo eseguiva per produrre quel tipo di output, non produceva conoscenza ma disinformazione.
L'output dell'elaborazione di un computer produce conoscenza perché il nostro cervello fornisce l'input che istruisce [l'elaborazione] e verifica l'adeguatezza dell'output per il risultato sperato.
L'output di una elaborazione giornalistica o "bloggante" non potrà mai produrre conoscenza se non si stabilisce un relazione operativa con un input prodotto dal nostro cervello, aka [grazie ai giornalisti] CPU.
Non sono d'accordo Luigi!
Ammesso che sia riuscito a seguire il tuo discorso [che vedo come un affascinante miscuglio di relata' e metafora], ti dico che non puoi generalizzare dicendo che l'L'output di una elaborazione giornalistica o "bloggante" non potrà mai produrre conoscenza se non si stabilisce un relazione operativa con un input prodotto dal nostro cervello, aka [grazie ai giornalisti] CPU.
Il giornalismo puo' produrre conoscenza eccome. Dipende da quale tipo di giornalismo si parla.
Tale tipo di giornalismo, quello che produce conoscenza, e' proprio quello [stando alla tua terminologia] che stabilisce la relazione operativa. Quando non c'e' si parla di trash
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