domenica 19 giugno 2011

Twitter e le rivoluzioni. Un documento di qualità!

"Non esiste alcuna prova che le proteste in piazza a Teheran, a Tunisi e al Cairo non ci sarebbero mai state senza internet. Il determinismo tecnologico è pericoloso perchè porta a sottovalutare le vere ragioni del cambiamento sociale e quindi ad adeguarsi all'illusoria equazione secondo la quale basta più tecnologia per ottenere più democrazia.
In realtà internet e i social network sono usati ancora più efficacemente dai regimi dispotici, per reprimere, censurare e sorvegliare."

Queste sono le tesi di Evgeny Morozov, giornalista bielorusso di Foreign Policy riportate nel bellissimo ed interessantissimo documento giornalistico "Twitter e le rivoluzioni" presentato ieri alla Feltrinelli di Pescara; così, alla fine della lettura, mi piace etichettare il lavoro di Giovanna Loccatelli (gentile nel "lasciarmi il suo nick a penna"), collaboratrice de "il Fatto" e con esperienze di ufficio stampa per alcuni politici e nelle sedi di Londra dell'Agenzia Reuters.

Le tesi di Morozov sono evidentemente accolte da Malcom Gladwell (citato nel penultimo capitolo) che, come riportato anche in questo spazio, non vede nei social network un abilitatore delle rivoluzioni in quanto non riesce ad organizzare una leadership e pianificare una strategia e non permette la militanza politica.

Nell'ultimo capitolo, "Twitter revolution?" ci sono due interviste che, a mio parere, contengono un po' tutto il senso del del volume.

La prima è allo stesso Morozov che, argomentando meglio le sue tesi dice che "i movimenti d'agitazione sono iniziati molti anni fa, non ora" dichiarando, poi, il suo disaccordo con quanti "vogliono far passare l'idea che tutto è successo al'improvviso" perchè basterebbe "fare un passo indietro e ricostruire la storia".
Personalmente, di fronte a tali parole, non posso che trovarmi in accordo facendo un parziale passo indietro rispetto a quanto a Febbraio scrivevo a proposito delle posizioni di Gladwell (i fuochi di cui parlavo erano stati già accesi molto tempo prima...).

Non penso però, come ancora Morozov dice a Giovanna Loccatelli, che Internet non sia il giornalismo. E' vero, anche i regimi lo utilizzano (emblematico il caso riportato del Sudan e gli altri esempi citati nella sezione relativa del volume) ma non si può negare quello che è il vero messaggio: i social network sono stati un mezzo senza il quale il lavoro giornalistico sarebbe stato molto più complicato da portare a termine quando non addirittura impossibile.

Questa non è un'opinione; è essa stessa un fatto e i tre capitoli "Tweet-to-Tunisia", "Tweet-to-Egitto" e "Tweet-to-Libia" lo dimostrano. Vengono riportati i tweet di quelle che sono state ritenute le fonti autorevoli (e con una verificata reputazione ) dalle scene della rivoluzione e dal cuore dei gruppi manifestanti. I paragrafi introduttivi, poi, sono un eccellente lavoro di contestualizzazione.

Nell'ottica dello schema WIKiD a me così caro, direi che siamo di fronte ad una informazione "spinta" perchè, oltre che ad una collocazione nello spazio e nella storia dei fatti, ci sono più che abbondanti elementi per una loro "significazione". I documenti presentati dall'autrice forniscono, cioè, vera e propria conoscenza.

A sostegno del valore dei social network (anche da da un punto di vista giornalistico) ci sono le parole della seconda intervista, fatta a Federica Bianchi che ha seguito per l'Espresso sia la rivolta in Egitto sia quella in Tunisia: "le rivoluzioni ci sarebbero state comunque. Ma senza i Social Media esse sarebbero state molto più sanguinose e probabilmente più lunghe. [...] i Social Network hanno senza dubbio accelerato il processo e coinvolto più velocemente il mondo esterno. In tre settimane non sarebbe mai stato possibile tutto quello che poi è accaduto in Egitto." Twitter (più di Facebook utilizzato in Egitto principalmente per scambio di informazioni interno ai gruppi dei rivoltosi) è stato un vero e proprio strumento giornalistico; del resto è stato proprio questo l'obiettivo dei cittadini: far sapere al mondo ciò che stava succedendo.

Il lavoro di Giovanna Loccatelli credo si rivolga ad un pubblico molto variegato.

Si rivolge al cittadino che, anche senza alcuna nozione e conoscenza di cosa un Social Newtork sia, credo venga messo nelle condizioni di capire cosa realmente sia successo nel nordafrica e perchè. E' vero, ci sono numerosi riferimenti tecnici al mezzo utilizzato, ma le tre sezioni citate in precedenza sono davvero dei documenti fruibili da "chiunque" e che, se di interesse, "chiunque" dovrebbe essere disposto a ricompensare con il soldo di Gaspariana memoria. Si parla, quindi, di contenuti che, nello spazio tridimensionale sarebbero collocati in zona rossa; contenuti di qualità, insomma.

Sono convinto, inoltre, che, proprio perchè penso che i fatti vengono raccontati e documentati per persone per le quali non è necessario avere esperienze di Social Media, il lavoro rappresenti anche una lezione di giornalismo; soprattutto per quella categoria di professionisti che ancora vede come un affronto azioni come quelle della Markel che qualche tempo fa aveva utilizzato il suo canale Twitter per dire del suo viaggio negli USA (per citare un esempio riportato nel penultimo capitolo).

Devo dire che un lavoro simile, durante i fatti di inizio anno, è stato svolto altrettanto egregiamente da PierLuca e da Roberto (quest'ultimo con un utilizzo di Storify - citato dall'autrice - altrettanto "educativo"); spesso sono arrivati molto prima delle testate online italiane (almeno quelle dalle quali quotidianamente mi rifornisco) fornendo un servizio altrettanto degno del soldo.

La posizione di Giovanna Loccatelli, da me condivisa in toto, è espressa nelle prime pagine: e, con quanto è avvenuto in Magreb "non è più possibile, per chi fa informazione, ignorare questi strumenti". "Twitter ha per la sua natura conquistato un posto indiscusso nell'economia dell'informazione".

Un'ultima riflessione a proposito dell'appendice, vera chicca del volume: il manifesto organizzativo dei giovani egiziani. Si tratta del documento segreto dei rivoluzionari egiziani scritto in lingua araba fatto circolare via e-mail per pianificare la rivoluzione. Il fatto che non sia stato divulgato sui Social Network, quindi alla mercè dei Regimi, dimostra che, in effetti, la parte strategica (per usare i termini di Malcom Gladwell) è stata fatta dai legami forti (contatto e-mail solitamente condiviso tra persone reciprocamente responsabili) e non da quelli deboli, che sono poi quelli che contraddistinguono le piattaforme sociali sul Web.

3 commenti:

Roberto ha detto...

Grazie per la citazione!

Marco Dal Pozzo ha detto...

:)

Roberto ha detto...

Ho provato a integrare la discussione che si sta sviluppando su FriendFeed pubblicando questo post.