"Questo processo di progressiva analfabetizzazione cui sono vittime gli italiani non rischia di penalizzare pesantemente i contenuti veicolati dalla rete in particolare quella in lingua italiana?"
Questa la domanda rivolta, sul sito di lsdi, a diversi "liberi pensatori della rete" a proposito dell'analfabetismo di ritorno.
Probabilmente la domanda di lsdi è mal posta. A mio parere la questione non è la penalizzazione pesante dei contenuti distribuiti su piattaforme digitali; quanto piuttosto la modalità di fruizione degli stessi. Mi spiego meglio.
Una minuscola premessa: posso ritenermi un utente sufficientemente esperto della Rete ma ho un passato da studente sui libri, sulla Rete ci sono solo da cinque anni. Credo che il problema risieda soprattutto sul percorso verso la conoscenza che non sa più essere come quello che abbiamo utilizzato noi nella scuole. Io ho riprodotto sulla Rete l'approccio che seguivo quando studiavo: Leggere per Capire era il titolo di un testo di italiano che utilizzavo a scuola.
Penso, invece, che ora si cerchi soltanto di leggere (o semplicemente prelevare), dalla Rete, per copiaincollare una ricerca. Nei quaderni che vedo dei figli di amici, dalle elementari ai licei, faccio fatica a trovare un tratto a penna: solo fogli stampati e incollati. La scrittura era lo strumento tecnologico che ci serviva per organizzare le informazioni che avevamo, per ragionare su di esse, per sistematizzarle e per conoscerne meglio il senso (i famosi schemetti!); ci saranno, adesso, pure metodi didattici diversi, ma nessuno finora mi ha allontanato dall'idea che senza la scrittura si può capire e conoscere allo stesso modo di come capivo e conoscevo io 25 anni fa!
Ora c'è Google; che non è una miniera di informazioni. Nella miniera bisogna scavare, sporcarsi le mani ed avere poi il piacere (spesso pagato a caro prezzo) di riportare alla luce il metallo prezioso. Google, invece, induce a fare a meno di questo sacrifio; è solo utile per muoversi in velocità (non è poca cosa, d'accordo, ma non può bastare). E il copiaincolla non fa ragionare. Certo, poi c'è Matt Cutts che ci dice che non serve più fare ottimizzazione perchè il nuovo algoritmo Panda premia la qualità. Ma...voi ci credete?
Come si può risolvere il problema? E' inevitabile parlare di questione culturale. Tornando, così, alla rassegna di lsdi, PierLuca Santoro parte dal presupposto giusto: La Rete non è di per se stessa in grado di invertire il processo. Sia per l’infobesità che spinge a letture sempre meno attente, come dimostrano i tempi di permanenza sui siti dei quotidiani online, sia perchè si tratta per la maggioranza degli utenti di un processo di fruizione passiva, del passaggio, o meglio della sovrapposizione, di schermi, da quello tv a quello del pc. E la sua ricetta, manco a dirlo, è la gamification.
La mia non è una critica alla Rete, ci mancherebbe altro. Ma una esortazione ad insegnarne un utilizzo consapevole.
Come dice infatti Sergio Maistrello: È necessario promuovere a tutti i livelli un accesso sano, consapevole e sereno alle culture digitali, considerandolo il volano di un processo che avrà ripercussioni a cascata in tutti i campi. Non è la rete che ci salva, ma la rete – se usata bene e in modo consapevole – è un opportunità per lavorare su noi stessi, sul nostro rapporto con noi stessi, con gli altri, con la lingua, con la società che ha tutte le carte in regola per invertire la tendenza. In sostanza l’esatto contrario di quello che si fa tutti i giorni in tutti gli ambiti in Italia, oggi.
Luca De Biase stressa ancora di più: Una persona diventa analfabeta funzionale se non ha stimoli sufficienti a leggere e a mantenere viva la sua capacità di farlo. Se tutte le informazioni di cui ritiene di avere bisogno arrivano dal passaparola e dalla televisione, la lettura è inutile. È evidente che la rete può essere un grande stimolo a concedere attenzione alla lettura. L’attrattiva di partecipare a Facebook è probabilmente uno stimolo utile per molti giovani che altrimenti abbandonerebbero la lettura. Ma è chiaro che un’innovazione radicale nel pensiero che disegna il sistema educativo potrebbe usare la rete per conquistare attenzione e tempo delle persone ad attività che ne coltivino la curiosità e l’interesse per ciò che si può fare sapendo leggere.
Cultura, quindi. Cultura Digitale. Quella che ci porterebbe ad un ecosistema, la Rete, in cui - ad esempio - si apprezzi il lavoro giornalistico, non necessariamente professionale (nel senso dell'iscrizione all'Ordine), di quelli che - quasi con disprezzo - vengono definiti blogger. Sia perchè con tale cultura (il fatto che sia digitale è, a questo punto, solo un interessante aggettivo) si sa produrre un contenuto di alta qualità; sia perchè, tale qualità, si fa più facilmente riconoscere ed apprezzare dal lettore (anche qui, digitale, è una qualifica non determinante).
Va sicuramente in questa direzione lo sforzo profuso in questa settimana da attori come Luca De Biase, Fabio Cavallotti e PierLuca Santoro nella definizione di un codice di comportamento, un decalogo, un bollino di qualità per chi fa informazione. Uno sforzo verso la declinazione, anche nel mondo digitale, di quel Leggere per Capire che mi ha accompagnato durante gli anni della scuola.
Approfitto della mia rubrichetta settimanale (per non aver avuto il tempo di farlo durante la settimana) per aggiungere tre tasselli alle discussioni con cui si sta contribuendo a questo percorso:
In questo spazio, per dare una definizione di contenuto di qualità, ho voluto inquadrare il ragionamento da un punto di vista, lasciatemi dire, matematico: in uno spazio tridimensionale, ho teorizzato che il contenuto è tanto più di qualità quanto maggiore è il suo valore nei tre assi cartesiani rappresentati da "tipologia", "professionalità" e "pluralismo".
[professionalità]
Probabilmente, il bollino Timu proposto da Luca De Biase, rappresenta la metrica migliore per l'asse della "professionalità". Ma, proprio per la definizione che ho dato del contenuto, tale bollino non può bastare. Mancano, cioè, della azioni di autocontrollo e autodisciplina anche negli altri due assi: "tipologia" e "pluralismo".
[tipologia]
Per il primo si tratterebbe di impegnarsi a diffondere soltanto articoli, faccio degli esempi, di cronaca politica e scientifici. Quelli che, a mio modesto avviso, sono funzionali alla crescita. La mia proposta, quindi, è: mettiamo, oltre al Timu, un bollino "No Gossip!".
[pluralismo]
Per il secondo asse, quello del "pluralismo", qualcosa si può fare. Il Pluralismo esterno è garantito automaticamente dalla piattaforma di distribuzione (ciascuno, in totale libertà, può scrivere sul proprio blog in uno spazio contiguo a quello in cui esprime il proprio pensiero chi è distante anni luce dal nostro modo di concepire il mondo). Più difficile è garantire il pluralismo interno. Sarebbe eccezionale, per esempio, avere un blog multiautore; ma non è questa la soluzione che propongo. Molto più semplicemente bisognerebbe autodisciplinarsi a partecipare attivamente alle discussioni che un proprio post/articolo genera. Un punto di vista differente espresso da un commento, o anche una domanda per capire meglio il senso di ciò che si è letto, meritano senza dubbio una risposta da parte dell'autore. La mia proposta è, quindi: oltre al "Timu" e al "No Gossip!", mettiamo il bollino "Io rispondo!".
Un ultimo tassello: l'accessibilità
Un aspetto mi sembra sia stato trascurato da tutti gli attori coinvolti nelle discussioni: l'accessibilità. Un bollino W3C, da accompagnare agli altri tre appena presentati, sarebbe la garanzia di un contenuto fruibile anche da chi - cito da Wikipedia - ha ridotta o impedita capacità sensoriale, motoria, o psichica (ovvero affette da disabilità sia temporanea, sia stabile). [Oltretutto lo chiede la legge.]
Ecco qui di seguito cosa dovremmo alla fine poter vedere come footer di ogni spazio in Rete. Un marchio messo su in due minuti soltanto per dare un'idea (c'è qualche grafico in giro?)
Leggere per Capire, quindi! E consapevolezza: partendo da chi scrive per infonderla in chi legge [queste le mie risposte - non richieste, per carità - alle domande poste da lsdi].
Credo che, con queste azioni, si faranno grandi passi verso il riconoscimento al sistema informativo del suo ruolo essenziale per la crescita del cittadino. E a recitare una parte essenziale in questo scenario ci sono anche quelli che devono garantire l'infrastruttura e la circolazione stessa dei contenuti; e quelli che, quei contenuti, prima o poi, dovranno pagarli (ed eventualmente non pagarli, cioè non comprarli!).
Per i primi ci ha presentato, in settimana, qualche conto ancora Luca De Biase scrivendo a proposito dell'Agenda Digitale. Leggo nelle sue parole, una condivisibile nostalgia per delle azioni politiche. Interessante anche il contributo di Massimo Mantellini, e la relativa discussione su FriendFeed, sulla questione del finanziamento all'Editoria. La mia idea a tal proposito si chiama microcredito/microguadagno (sto elaborando delle slide che mi permetteranno, spero al più presto, di rendere note le mie prime conclusioni...economiche).
Per i secondi, per quanto il riferimento è al mercato librario, Michela Murgia denuncia il fenomeno dell'editoria a pagamento [dello strozzinaggio di alcune case Editrici aveva parlato Sergio Covelli all'e-bookcamp]; quando, cioè, a pagare è addirittura l'autore per poter essere pubblicato. L'azione proposta è il boicottaggio e non posso che condividerla: anche questa è educazione alla consapevolezza.
A voi la parola. Se avrete domandato, state tranquilli, io risponderò :)
P.S. 1: in effetti un ulteriore regola sarebbe quella di linkare l'autore e/o il sito in cui sono prelevate le immagini.
P.S. 2: mdplab è fortemente delinquent :-/
Aggiornamento delle 23.15
La discussione che pubblico di seguito riguarda l'ampliamento del bollino Timu: quello che ho definito "Io rispondo!". I like mi dicono che l'idea non sia del tutto malvagia; nei commenti invece sembra ci sia un atteggiamento diverso.
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