mercoledì 27 aprile 2011

Definizione di Contenuto di Qualità/2 - il Fattore Tempo

Nello schema proposto qualche giorno fa (per comodità lo ripresento qui appresso), sugli assi cartesiani sono presenti l'Attribuzione di Senso e Significato e l'opera di Strutturazione/Organizzazione.



Quello che non viene contemplato in questo schema è il fattore tempo, una terza dimensione del percorso che, però, credo possa fare la differenza.

Carotenuto e Mezza, nei loro interessanti saggi sul Giornalismo Partecipativo e sui Media, parlavano della prontezza con cui le informazioni sono fornite alle Persone (non soltanto via Internet) secondo una [tecno]logica just in time; [tecno]logica che favorisce, quindi, una veloce generazione di senso.

Mi viene da pensare che, se da un lato il soddisfacimento del vincolo di tempo reale rappresenti un valore aggiunto di chi fa servizio informativo [secondo una logica che è anche commerciale], dall'altro potrebbe rappresentarne un limite [secondo una logica, lasciatemi dire, educativa].

Perchè una delle questioni da porre è: la veloce generazione di senso è da preferire o no? E' di qualità il contenuto che esaurisce e consuma all'istante la notizia senza prevederne un approfondimento che stimoli una discussione e, quindi, abiliti (o faciliti, qualora iniziato) il percorso verso la Saggezza delle Persone agenti nell'ecosistema-Stato (un modo di vedere e di interpretare la Generazione di Senso)?

Mi tornano in mente le parole di Bauman nel suo Capitalismo Parassitario in cui afferma:

Attribuire importanza alle diverse informazioni, e soprattutto attribuire importanza ad alcune piuttosto che ad altre, è forse il compito più sconcertante e la decisione più difficile. L'unico criterio pratico su cui basarsi è la pertinenza momentanea; ma anch'essa cambia di momento in momento e le informazioni assimilate perdono di significato appena utilizzate. Anch'esse, come altre merci sul mercato, sono destinate a un utilizzo istantaneo, sul posto e una tantum.

Ho citato uno degli ultimi passi di un ragionamento (sulla Società Liquida) in cui diceva anche:

Il mondo dei nostri giorni appare più un meccanismo per dimenticare che un ambiente per apprendere.

[...]
In un mondo simile il sapere è destinato a inseguire senza fine oggetti sempre più elusivi, che, come se non bastasse, iniziano a svanire nel momento stesso in cui vengono afferrati.

Le strade sembrano quindi essere due e mutuamente esclusive: assecondare la liquidità della società o cercare di ri-stabilizzare [alcuni de]i principi su cui dovrebbe fondarsi?


Io sceglierei la seconda e, per il ruolo fondamentale che riconosco all'Informazione, ritengo che uno degli strumenti per provare almeno a intraprenderla sia quello di garantire una maggiore lentezza al processo di generazione di senso.

Una velocità ridotta che spinga le persone a soffermarsi su quello che accade e a discuterne le dinamiche, le ragioni. Continuando a credere che il contenuto di qualità sia quello che abbia come oggetto i fatti di Cronaca e Politica e, per quanto appena detto, considerando il tempo un fattore essenziale, tra le due definizioni che ho provato a ipotizzare, credo che ne resti soltanto una:

Il Contenuto di Qualità equivale all'Informazione di Cronaca/Politica e corrisponde al livello minimo di Informazione che lo Stato deve garantire ai Cittadini (vale ancora la NOTA).

Stiamo parlando, quindi, dei Quotidiani e, conseguentemente, di parte del percorso che, grazie ad essi, i cittadini potrebbero (anzi dovrebbero) intraprendere verso la Saggezza, il Benessere, la Felicità.

Riuscite a seguirmi? [In un ragionamento che, forse, potrebbe addirittura aver affermato l'ovvio?]

Aggiornamento 6 Maggio 2011

Riporto integralmente l'articolo di PierLuca in cui si riflette su Reti Sociali e Media Tradizionali.

Oltre le Apparenze

Già il giorno dopo Keith Urbahn aveva raffreddato sensibilmente gli entusiasmi di coloro che celebravano il trionfo delle reti sociali contro i media tradizionali: “La mia fonte è stata quella di un produttore di un network televisivo. Le storie relative alla morte dei MSM [Mainstream Media] che si basano sul mio primo tweet sono fortemente esagerate”.

Gigaom riassume egregiamente il ciclo di vita della notizia identificandone con precisione i sette passaggi nell’era di Facebook & Twitter:

  • Eccitazione nell’essere i primi a riportare una notizia
  • Incertezza: richiesta di approfondimento e verifica delle fonti
  • Ricerca della Validazione: ricerca di fonti ufficiali che validino l’informazione
  • Conferma dell’informazione trasmessa
  • Scherzi, Banalità e tentativi di trarre Profitto personale.
  • Azione: momento di aggregazione sociale, sia in rete che fisica, come avvenuto per quella che è stata definita “la rivolta araba” e replicato a ground zero
  • Analisi: che approfondimenti sono consentiti da 140 caratteri?

Twitter e Facebook sono dunque strumenti molto interessanti per quanto riguarda la distribuzione e l’aggregazione sociale rispetto ad un evento ed alla relativa notizia, ma non altrettanto in termini di autorevolezza e di analisi approfondita dell’informazione.

Il vero impatto viene definito con estrema lucidità da Juan Varela nel suo articolo all’interno del quotidiano online spagnolo El Correo: “I nuovi mezzi hanno amplificato l’impatto e la distribuzione della notizia mentre i giornalisti cercavano di confermarla. [....] Le reti sociali non sostituiscono il giornalismo, però l’informazione in tempo reale comprime il ciclo della notizia e ne aumenta l’interesse al riguardo mentre opinioni ed indiscrezioni si mescolano con l’informazione reale“.

Non vi è dunque antagonismo o rivalità, bensì, esattamente al contrario complementarietà. Le reti sociali diffondo ed aggregano ciò che i mezzi di informazione, i giornalisti, verificano ed approfondiscono.

Se andare oltre le apparenze è spesso solo questione di buon senso, per i mezzi d’informazione è invece la “reason why” per motivare le persone a continuare a mantenere una relazione fiduciaria che ne attesti essere effettiva fonte di riferimento. Immagino debba davvero essere questo il terreno di confronto e di miglioramento anzichè la sterile misurazione di chi “ce l’ha più lungo”.

Fonte: www.giornalaio.wordpress.com


11 commenti:

Unknown ha detto...

Pezzo e riflessioni interessanti e da me condivise. La lentezza, verrebbe da dire, come innovazione. Sul tema segnalo Luigi Proserpio "Comportamenti digitali": "... la dimensione del web richiede un maggiore ordine, per continuare a rappresentare in modo utile di veicolare le informazioni. E l'ordine è normalmente associato con la placidità e il minor numero di innovazioni per unità di tempo".

Marco Dal Pozzo ha detto...

Grazie Fabio e benvenuto da queste parti :) Sono davvero contento tu abbia trovato condibisibili le mie riflessioni. Qualsiasi tipo di feedback e', direi, vitale nel mio personale percorso verso la...saggezza!

Lentezza come innovazione, bel proposito e condivisibile obiettivo!
Interessantissima invece l'equazione tra ordine e innovazioni/tempo!

Grazie per l'indicazione che mi hai dato; aggiungero' questa ulteriore lettura ai desiderata della mia biblioteca!

Unknown ha detto...

Figurati. Pure io sto cercando "la via" della saggezza della qualità dei contenuti. Ne ho parlato al recente festival del giornalismo, nel panel organizzato da Pier Luca Santoro. Lavoro in un grande portale e la fotografia del web che ho descritto è stata impietosa (e scoraggiante). Io penso che il web offra tanti spunti decisamente orientati verso la qualità dei contenuti, ma sono frammentati in migliaia di rivoli.

La massa dei contenuti - che veicola una grandissima moltitudine di utenti - genera poco valore (gossip, sport, infolight). E per questo è capace di catalizzare gli investimenti economici.

Marco Dal Pozzo ha detto...

Mi dai lo spunto per dire in modo diverso quello che ho gia' cercato di esprimere...

Se l'obiettivo deve essere il miglioramento della Societa', ai condivisibili (?) obiettivi delle "Imprese" che vogliono/devono far soldi con gossip, sport, infolight, se ne deve perseguire uno comune/pubblico cioe' di responsabilita' dello Stato.

Ecco perche' parlo di informazioni di Cronaca Politica e dello Stato che dovrebbe garantirne la fruizione (garanzia sia dell'infrastruttura sia dell'accesso ai contenuti in essa veicolati).

Detto in altro modo: cosi' come l'Impresa investe per i contenuti che generano poco valore, lo Stato dovrebbe investire per i contenuti di qualita' (cioe' quelli che, se fruiti, portano ad un miglioramento delle condizioni Sociali).

Poi il microearning, che proprio da un tuo articolo di qualche tempo fa ho ripreso, consentirebbe di oliare il meccanismo cosi' avviato.

Un mesetto fa mi sono divertito a fare un parallelismo per spiegare il modello che ne risulterebbe

Unknown ha detto...

E' un percorso molto complesso. Difficile.
Ma non nuovo. Nel secondo dopoguerra lo Stato ha "intrapreso" due passi enormi verso una valorizzazione del capitale sociale/umano della Penisola. Ovvero: 1) rafforzamento della scuola pubblica, con progressivo innalzamento dell'età dell'obbligo; 2) creazione di una Tv pubblica, a cui fu demandato anche il compito di istruire gli italiani.
Due forze propulsive oggi inaridite - almeno secondo me - da pure logiche di mercato che paradossalmente, senza inversioni di tendenza, danneggeranno il mercato stesso (perché la conoscenza è anche dinamica sociale. E più dinamica sociale vuol dire più consumi).
La tua proposta, dunque, che, se ho ben capito, ridà un ruolo all’ordinamento statuale come motore principale di un’economia della conoscenza, avrebbe pure il merito di trasformarsi in forza propulsiva alla struttura economica.
Ma c’è un movimento d’opinione – virtuale e reale – verso un simile cambiamento? Per ora vedo isole, un arcipelago, ma non in grado di creare un continente, una massa critica. La spinta verso la saggezza o comunque, verso una maggiore qualità e consapevolezza dei contenuti ha aspetti molto simili alle iniziative di commercio equo e solidale. Anche lì una consapevolezza: creare ricchezza (fatta pure di quattrini) fuori da logiche di mercato a corto respiro. E si è organizzata una fitta rete dal basso che sta accompagnando numerosi produttori verso un’economia sostenibile. Che il micro-guadagno sociale ci conduca verso questa direzione?

Marco Dal Pozzo ha detto...

Fabio,
mi offri un ulteriore punto di vista e alla domanda che poni alla fine, d'impulso, rispondo: perche' no!

Non conosco il "modello di business" del commercio equo e solidale ma, da quello che intuisco dal tuo intervento, il suo studio potrebbe essere una strada percorribile per capire meglio!

Essere parte di un piccolo arcipelago non mi scoraggia. Non posso credere che si sia superato il punto di non ritorno...Internet da la possibilita' anche a uno come me di poter esprimere idee e fare anche proposte...

Sto facendo un percorso di studi entusiasmante e spero, in tale percorso, di raccogliere utili parole e impressioni. Un po' come stiamo facendo in questa discussione...

[Rileggo e mi sembra di leggere le parole di un povero illuso che vuole cambiare il mondo :)]

Unknown ha detto...

Soprattutto il nostro Paese ha la necessità di un simile impegno. C'è il rischio - e per me è già attuale - di rendere il web una marmellata con tenue differenza rispetto alla televisione. Mi riferisco alla maggioranza degli utenti.

Dunque la "lotta" (temine più che appropriato) per preservare le potenzialità e lo spirito "primo" del web sono fondamentali.

Marco Dal Pozzo ha detto...

Fabio,
spero di avere in te un "alleato". Questa alleanza capisco costi parecchio...voglio dire: spesso mi viene un dubbio: non saro' mica presuntuoso? Non staro' mica chiedendo troppo alle persone che mi seguono?

Il tempo, per gli altri come per me, e' davvero poco e riuscire a trovare dei momenti di confronto come questo sono essenziali!

Spero tu ne abbia ancora un po' :))

Intanto grazie!

Unknown ha detto...

Avanti così. I presuntuosi sono altri. ;-)

Marco Dal Pozzo ha detto...

Grazie :)

Marco Dal Pozzo ha detto...

Caro Fabio, stimolato dal tuo consiglio ho acquistato e letto questo breve saggio sul Commercio Equo e Solidale.

Una lettura interessante!

Ti confesso che credevo di trovare qualcosa di diverso: un modello di business, altro...

Ho cercato di aprire le vedute ed ho trovato, poi, due spunti:

1. la finanza etica e il riconoscimento, nei suoi principi, del credito come un diritto umano per attivita' di crescita sociale (domando: che non sia lo Stato a doversi fare finanziatore etico dell'informazione?)

2. la scala dei bisogni di Muslow che prima non conoscevo. Dalle prime ricerche pare che ce ne sia un modello ampliato. Mi auguro di trovarne una versione che contempli, in aggiunta ai bisogni a suo tempi identificati da Muslow, anche l'informazione.

Ti terro' aggiornato!