E' dell'inizio di Agosto l'accordo tra Governo e mondo dell'Editoria. Un passo che il Sottosegretario con Delega all'Editoria, Giovanni Legni, definiva "prezioso per avviare la ripresa del comparto nel segno dell’innovazione dell’Editoria italiana."
Sono passati quasi due mesi e ieri ho avuto il piacere di parlare con il Sottosegretario Legnini: un colloquio davvero interessante in cui ho portato i temi a me carissimi dell'Editoria in chiave sociale, capisaldi del mio lavoro di ricerca #1news2cents: il cittadino al centro, non (soltanto) l'Impresa!
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domenica 6 ottobre 2013
domenica 26 maggio 2013
#1news2cents raccontato agli amici (e poi @ultimabooks e @amazon)
Se un amico curioso mi incontrasse per la strada e mi chiedesse quali sono gli argomenti trattati nel mio eBook "#1news2cents la Qualità Costa! un Modello Sociale per l’Editoria (Online)", mi divertirei a dirgli più o meno le stesse parole con cui ho presentato il mio lavoro la scorsa settimana a Torino, durante il dibattito al Salone OFF organizzato da Erica Vagliengo.
Eccole in questi due brevi video (grazie a Lia e Letizia per avermi registrato e fotografato!). Sono dieci minuti che potrebbero convincervi a rinunciare all'acquisto; quindi altamente consigliati!
Un paio di informazioni di servizio.
La prima è che potete approfittare della promozione di UltimaBooks per avere gratis #1news2cents (a chi si registra, infatti, UltimaBooks regala 3€ spendibili per l'acquisto dei titoli dello store).
La seconda è che, finalmente, #1news2cents è anche su Amazon: Amazon.it e Amazon.com con il Look Inside per guardare l'indice dettagliato dei contenuti.
Ah, dimenticavo, il concorso è ancora valido: nel libro ho seminato un "errore intenzionale": chi riesce a scovarlo per primo twittando "#1news2cents l'errore è xxx @marcodalpozzo" avrà in regalo un libro della bibliografia a scelta che, a meno che non sia disponibile in formato elettronico, provvederò personalmente a spedire. Ve ne consiglio qualcuno: "Marketing dell'Informazione e della Conoscenza", di Michele Rosco, da cui tutto è cominciato; Il Reddito di Cittadinanza, di Giuseppe Bronzini, un testo illuminante (non soltanto per le mie ricerche); Lo spettro del capitale. Per una critica dell'economia della conoscenza, di Bellucci e Cini; La società dei beni comuni, una rassegna di Paolo Cacciari che ha ispirato uno dei passaggi chiave della mia teoria. E qui mi fermo perchè rischio davvero di elencarli tutti!
Eccole in questi due brevi video (grazie a Lia e Letizia per avermi registrato e fotografato!). Sono dieci minuti che potrebbero convincervi a rinunciare all'acquisto; quindi altamente consigliati!
Un paio di informazioni di servizio.
La prima è che potete approfittare della promozione di UltimaBooks per avere gratis #1news2cents (a chi si registra, infatti, UltimaBooks regala 3€ spendibili per l'acquisto dei titoli dello store).
La seconda è che, finalmente, #1news2cents è anche su Amazon: Amazon.it e Amazon.com con il Look Inside per guardare l'indice dettagliato dei contenuti.
Ah, dimenticavo, il concorso è ancora valido: nel libro ho seminato un "errore intenzionale": chi riesce a scovarlo per primo twittando "#1news2cents l'errore è xxx @marcodalpozzo" avrà in regalo un libro della bibliografia a scelta che, a meno che non sia disponibile in formato elettronico, provvederò personalmente a spedire. Ve ne consiglio qualcuno: "Marketing dell'Informazione e della Conoscenza", di Michele Rosco, da cui tutto è cominciato; Il Reddito di Cittadinanza, di Giuseppe Bronzini, un testo illuminante (non soltanto per le mie ricerche); Lo spettro del capitale. Per una critica dell'economia della conoscenza, di Bellucci e Cini; La società dei beni comuni, una rassegna di Paolo Cacciari che ha ispirato uno dei passaggi chiave della mia teoria. E qui mi fermo perchè rischio davvero di elencarli tutti!
giovedì 16 maggio 2013
#1news2cents la Qualità Costa! un Modello Sociale per l’Editoria (Online) al #SalTo13
Oggi si apre a Torino il Salone del Libro.
Eravamo ad Ottobre dello scorso anno, sette mesi fa. Erica, che sapeva della mia intezione di lavorare ad un eBook, mi invitò per "un dibattito del Salone OFF, per presentare il tuo libro". Io, sorridendo, le dissi che ero contentissimo, la ringraziai per l'invito, ma le feci notare che il libro non c'era ancora.
Mi sono messo al lavoro e alla fine l'eBook è arrivato.
Ed è praticamente arrivato anche il giorno del dibattito: Domenica 19 Maggio al Complesso Sportivo Trecate di Torino, a partire dalle 14.30, allo Spazio Open del Salone OFF, insieme con Giovanna Gallo e Silvia Salvagno, nel dibattito "Il fu libro di carta", sarò contento di presentare il mio lavoro.
Se siete da quelle parti...
sabato 11 maggio 2013
#1news2cents la Qualità Costa! un Modello Sociale per l’Editoria (Online) di @marcodalpozzo
Dopo quattro anni di studi, alla fine, credo di avercela fatta a raggiungere il terzo degli obiettivi che mi ero posto nel Marzo del 2009: #1news2cents la Qualità Costa! un Modello Sociale per l’Editoria (Online) è il titolo del mio eBook (non ci credo ancora!) che sintetizza le mie ricerche sull'Editoria.
Sento di dover dire un paio di cose: ho scelto di metterlo in vendita perchè dietro c'è un lavoro molto faticoso, quasi da artigiano (le figure, "ricamate a mano", sono lì a ricordarlo); il prezzo, però, testimonia la fortissima volontà che ho di fare arrivare le mie idee il più lontano possibile.
Il titolo, che è un tweet, dovrebbe aiutare a discuterne online (altri tweet di sintesi li troverete alla fine di ogni paragrafo). Una parte del libro esplode conclusioni già condivise nel mio laboratorio; gli ultimi capitoli, invece, sono una novità perchè danno forma a delle intuizioni che avevo soltanto accennato.
Nel libro (che ho iniziato a tradurre per una edizione, oppurtunamente rivista, in lingua inglese) ho seminato un "errore intenzionale": chi riesce a scovarlo per primo twittando "#1news2cents l'errore è xxx @marcodalpozzo" avrà in regalo un libro della bibliografia a scelta che, a meno che non sia disponibile in formato elettronico, provvederò personalmente a spedire. Ve ne consiglio qualcuno: "Marketing dell'Informazione e della Conoscenza", di Michele Rosco, da cui tutto è cominciato; Il Reddito di Cittadinanza, di Giuseppe Bronzini, un testo illuminante (non soltanto per le mie ricerche); Lo spettro del capitale. Per una critica dell'economia della conoscenza, di Bellucci e Cini; La società dei beni comuni, una rassegna di Paolo Cacciari che ha ispirato uno dei passaggi chiave della mia teoria. E qui mi fermo perchè rischio davvero di elencarli tutti!
Sono contentissimo di dirvi della presentazione del libro che farò a Torino, Domenica 19 Maggio al Complesso Sportivo Trecate di Torino, a partire dalle 14.30, allo Spazio Open del Salone Off, l'insieme di eventi che porta il Salone del Libro fuori dal Salone. Se siete da quelle parti mi farebbe piacere vedervi! Ringrazio Erica Vagliengo per avermi invitato e per la sua tenacia.
Intanto voglio ringraziare di cuore gli autori dei libri che ho letto e dei blog e siti che ho consultato in questa lunga traversata. Ringrazio anche gli amici Carlo, Massimiliano, Alberto, Paolo e Matteo, per avermi aiutato nella revisione e per l'interesse dimostrato per il mio lavoro.
Nell'attesa di leggervi online intorno all'hashtag #1news2cents, vi lascio con la quarta di copertina che descrive il libro nelle piattaforme che lo metteranno in vendita:
Questo libro arriva alla fine di un percorso di ricerca durato quattro anni e iniziato con un obiettivo molto ambizioso: individuare una soluzione per recuperare il ruolo del giornalismo in Italia e, quindi, risollevare le sorti di un comparto in crisi. L’osservazione dell’evoluzione del mercato editoriale e lo studio di alcuni argomenti specifici (la teoria dei bisogni di Maslow, i principi del Capitalismo Sociale e del Reddito di Cittadinanza, le teorie della Conoscenza e dell’Informazione) hanno portato a scartare l’ipotesi dei quotidiani cartacei (almeno quelli con un ampio bacino di utenza; i quotidiani che chiameremmo nazionali) per promuovere quella dei quotidiani online e a sostenere una via decisamente politica: la revisione del finanziamento pubblico all'editoria.
In questo libro è proposta una soluzione forse ai limiti dell’utopia: il Modello Fotovoltaico. Esso prevede che i fondi pubblici non siano distribuiti direttamente agli editori, ma transitino attraverso le mani dei Cittadini che, quindi, tornerebbero a svolgere un ruolo centrale nel percorso verso la Conoscenza e che, per tale ragione, avrebbero diritto ad una forma di ricompensa.
Quanto deve costare un articolo online? Tutti gli articoli online hanno diritto al finanziamento pubblico? Queste le domande alle quali era necessario rispondere per elaborare una base teorica consistente.
L’hashtag nel titolo del libro contiene la risposta alla prima domanda e, sebbene non in modo intuitivo, anche l’entità annuale di un eventuale finanziamento pubblico. La risposta alla seconda domanda, invece, passa attraverso un'indagine sulla questione della qualità dei contenuti; tale indagine ha portato alla formulazione di un meccanismo di "punteggi a soglia" in grado di stabilire, per l’appunto, il livello di qualità di un contenuto. L’auspicio è che ci sia qualche forza politica che si faccia promotrice di una legge che recepisca i principi del Modello Fotovoltaico. Il valore economico del contenuto online e il meccanismo di assegnazione dei punteggi ai contenuti sono, però, dei risultati immediatamente utilizzabili: il primo, come prezzo da praticare nella distribuzione online degli articoli da parte delle testate giornalistiche; il secondo, come metodo promosso dalle testate stesse o usato in autonomia dai lettori, come percorso di consapevolezza di ciò che si sta leggendo.
Il titolo di questo lavoro è un tweet che, insieme con gli altri proposti alla fine di ogni paragrafo, è un invito alla conversazione e alla discussione, per criticare o incoraggiare i risultati, forse ingenui e sfrontati, di una ricerca, se si vuole, un po' fuori dai canoni.
giovedì 14 febbraio 2013
New York Times e Circoli Virtuosi
Esattamente un anno fa, PierLuca Santoro, nella sua rubrica per l'European Journalism Observatory, spiegava il caso del New York Times: un paywall che consente la lettura fino a venti articoli senza pagare; un paywall che, per questa sua natura, lo stesso Pier Luca Santoro ha definito "soft".
A Febbraio del 2012, nell'analisi si scriveva: si vede con chiarezza come a fronte di un incremento della diffusione del quotidiano non vi sia altrettanto una crescita dei ricavi dalla pubblicità che nel suo insieme calano del 6,1%. Si tratta della combinazione tra il progresso dell’incidenza delle revenues derivanti dagli investimenti sull’area digitale, che nel 2011 hanno raggiunto il 27,7% del totale (nel 2010 erano il 26,3%) e la flessione dei ricavi dalla pubblicità per la versione tradizionale cartacea. Una dinamica che conferma come il digitale, neppure per una testata del valore del NYT, riesca a compensare il calo della carta.
A Febbraio del 2013 succede che Mark Thompson, direttore generale del gruppo, dichiari (via): "Abbiamo visto un rafforzamento della forte crescita degli abbonamenti digitali oltre a un aumento dei ricavi per la vendita e gli abbonamenti su carta. E’ la prima volta nella nostra storia che i ricavi dalla diffusione hanno superato quelli della pubblicità".
(è come se) L'azione congiunta del digitale e del cartaceo (abbia) ha fatto diventare, per il New York Times, un oggetto di vanto quello che, per la quasi totalità degli editori è la preoccupazione più grande: il calo dei ricavi pubblicitari a favore degli abbonati. (Ma questo, ovviamente, non vuol dire che, a New York, non importi più nulla della pubblicità.)
Dal mio punto di vista, tale scarto, oltre ad essere indice di qualità dei contenuti e dell'informazione da essi veicolata, potrebbe rappresentare un'opportunità di innesco di un circolo virtuoso che potrebbe rendere le inserzioni sempre meno necessarie per gli editori (in virtù dell'aumento delle quote di readership) e, quindi, sempre più appetibili per gli inserzionisti. È ovvio che un simile meccanismo sarebbe possibile soltanto instaurando e/o consolidando un rapporto, un patto, alla pari tra Editori e Pubblico, Scrittori e Lettori, tra Cittadini. Per esempio riconoscendo a chi legge il ruolo nella costruzione del senso dell'informazione.
Immagine HOW BLOG
A Febbraio del 2012, nell'analisi si scriveva: si vede con chiarezza come a fronte di un incremento della diffusione del quotidiano non vi sia altrettanto una crescita dei ricavi dalla pubblicità che nel suo insieme calano del 6,1%. Si tratta della combinazione tra il progresso dell’incidenza delle revenues derivanti dagli investimenti sull’area digitale, che nel 2011 hanno raggiunto il 27,7% del totale (nel 2010 erano il 26,3%) e la flessione dei ricavi dalla pubblicità per la versione tradizionale cartacea. Una dinamica che conferma come il digitale, neppure per una testata del valore del NYT, riesca a compensare il calo della carta.
A Febbraio del 2013 succede che Mark Thompson, direttore generale del gruppo, dichiari (via): "Abbiamo visto un rafforzamento della forte crescita degli abbonamenti digitali oltre a un aumento dei ricavi per la vendita e gli abbonamenti su carta. E’ la prima volta nella nostra storia che i ricavi dalla diffusione hanno superato quelli della pubblicità".
(è come se) L'azione congiunta del digitale e del cartaceo (abbia) ha fatto diventare, per il New York Times, un oggetto di vanto quello che, per la quasi totalità degli editori è la preoccupazione più grande: il calo dei ricavi pubblicitari a favore degli abbonati. (Ma questo, ovviamente, non vuol dire che, a New York, non importi più nulla della pubblicità.)
Dal mio punto di vista, tale scarto, oltre ad essere indice di qualità dei contenuti e dell'informazione da essi veicolata, potrebbe rappresentare un'opportunità di innesco di un circolo virtuoso che potrebbe rendere le inserzioni sempre meno necessarie per gli editori (in virtù dell'aumento delle quote di readership) e, quindi, sempre più appetibili per gli inserzionisti. È ovvio che un simile meccanismo sarebbe possibile soltanto instaurando e/o consolidando un rapporto, un patto, alla pari tra Editori e Pubblico, Scrittori e Lettori, tra Cittadini. Per esempio riconoscendo a chi legge il ruolo nella costruzione del senso dell'informazione.
Immagine HOW BLOG
sabato 10 novembre 2012
la Strana Storia del Recruiting Online #ilsabatodimdplab #45
Negli ultimi tempi sono aumentati gli articoli sul recruiting online. Qualche giorno fa Marco Brambilla e Gianluca Diegoli ci hanno fatto una puntata di 91esimominuto chiacchierando con Silvia Zanella (marketing in Adecco e non solo).
Se ci si volesse abbandonare al tecnoentusiasmo, si dovrebbe sostenere che sono passati i tempi in cui si inumidivano francobolli per inviare CV cartacei, che il futuro è questo, che ormai bisogna essere social, che, dei social, LinkedIn diventerà il numero uno e che, proprio con LinkedIn, si può trovare "il lavoro dei tuoi sogni".
Ma come si fa ad escludere a priori che anche questo settore non stia diventando l'ennesima conquista di pascoli vergini?
Cos'è che mi fa fare questa riflessione?
Freelancer.com (via), questa la risposta. Come si legge dal "Chi Siamo", Freelancer.com pare sia il più grande mercato di outsourcing e crowdsourcing del mondo per piccole imprese con centinaia di migliaia di clienti soddisfatti provenienti da tutto il mondo. Si tratta di una piazza immensa in cui si incontrano domanda e offerta di lavoro: non si tratta di assunzione - spiega Nicodemo Angì su i-dome - ma di “incontri” destinati a concludere un progetto. Il progetto Freelancer prevede una sorta di asta alla quale partecipare per svolgere un progetto pubblicato da un'azienda, con quest'ultima che fissa le attività richieste e il tipo e l'entità del compenso.
Vi consiglio di dare uno sguardo perchè il fenomeno è davvero interessante. Un meccanismo che, però, mi sembra esaltare il messaggio "Guadagnate!" del mezzo, della piattaforma Internet. Perchè stavolta il messaggio viene recepito e praticato da entrambe le parti in causa: chi chiede e chi offre: chi chiede sa di poter strappare un prezzo basso per acquistare il lavoro di cui necessita in virtù del meccanismo dell'asta; chi offre - qui a mio avviso parte lesa - si trova a dover accettare un compenso più basso, a cedere in qualche modo al ricatto della crisi che viviamo, "perchè tanto se non lo faccio io lo fa qualcun altro". Altro che equo compenso!
[Potrebbero in effetti esserci anche dei casi in cui ci si offre pur non avendo affatto delle competenze, ma questa - per quanto sia un importante e deleterio risvolto del fenomeno - è un'altra storia.]
In questo particolare mercato del lavoro (quello di Freelancer.com almeno), c'è davvero pochissimo spazio per le conversazioni e siamo tanto lontani dal paesaggio, a mio avviso romantico, che disegnavano quelli del Cluetrain Manifesto.
Se ci si volesse abbandonare al tecnoentusiasmo, si dovrebbe sostenere che sono passati i tempi in cui si inumidivano francobolli per inviare CV cartacei, che il futuro è questo, che ormai bisogna essere social, che, dei social, LinkedIn diventerà il numero uno e che, proprio con LinkedIn, si può trovare "il lavoro dei tuoi sogni".
Ma come si fa ad escludere a priori che anche questo settore non stia diventando l'ennesima conquista di pascoli vergini?
Cos'è che mi fa fare questa riflessione?
Freelancer.com (via), questa la risposta. Come si legge dal "Chi Siamo", Freelancer.com pare sia il più grande mercato di outsourcing e crowdsourcing del mondo per piccole imprese con centinaia di migliaia di clienti soddisfatti provenienti da tutto il mondo. Si tratta di una piazza immensa in cui si incontrano domanda e offerta di lavoro: non si tratta di assunzione - spiega Nicodemo Angì su i-dome - ma di “incontri” destinati a concludere un progetto. Il progetto Freelancer prevede una sorta di asta alla quale partecipare per svolgere un progetto pubblicato da un'azienda, con quest'ultima che fissa le attività richieste e il tipo e l'entità del compenso.
Vi consiglio di dare uno sguardo perchè il fenomeno è davvero interessante. Un meccanismo che, però, mi sembra esaltare il messaggio "Guadagnate!" del mezzo, della piattaforma Internet. Perchè stavolta il messaggio viene recepito e praticato da entrambe le parti in causa: chi chiede e chi offre: chi chiede sa di poter strappare un prezzo basso per acquistare il lavoro di cui necessita in virtù del meccanismo dell'asta; chi offre - qui a mio avviso parte lesa - si trova a dover accettare un compenso più basso, a cedere in qualche modo al ricatto della crisi che viviamo, "perchè tanto se non lo faccio io lo fa qualcun altro". Altro che equo compenso!
[Potrebbero in effetti esserci anche dei casi in cui ci si offre pur non avendo affatto delle competenze, ma questa - per quanto sia un importante e deleterio risvolto del fenomeno - è un'altra storia.]
In questo particolare mercato del lavoro (quello di Freelancer.com almeno), c'è davvero pochissimo spazio per le conversazioni e siamo tanto lontani dal paesaggio, a mio avviso romantico, che disegnavano quelli del Cluetrain Manifesto.
giovedì 1 novembre 2012
Aderisci all'appello per i Contenuti di Qualità!
The public has access to information in unprecedented ways. Unfortunately, it has access to good information and access to shitty information. For me, the challenge is: How do you create media literacy? How do you get people to critically engage the news that’s available? These are issues we need to address, but the availability of information is still amazing. And I think that’s part of what’s so terrifying to people, that there’s so much information out there.
Queste le parole di Danah Boyd riportate qualche giorno fa dal Giornalaio, Pier Luca Santoro, in un pezzo che affronta la questione dell'approccio alla mole di elementi informativi che i media ci propinano ogni giorno e alla qualità dei contenuti.
Pier Luca conclude la sua segnalazione con ciò che definirei un appello: "Credo siano temi dei quali si discute troppo poco, forse troppo assillati dai modelli di business, dalla sostenibilità economica e dai ricavi calanti, o nulli, si rischia di perdere di vista il focus: cos’è informazione come si valuta la sua qualità?"
Mi associo! Anche perchè sono sicuro che, quello della Qualità, sarebbe un argomento molto buono per convincere i cittadini al pagamento delle news online. Sul tema dell'Informazione e Conoscenza credo di aver detto già abbastanza (ovviamente ci ritornerò su).
giovedì 28 giugno 2012
Non solo Quantitativamente Qualitativo
La qualità dell'informazione è un argomento molto caldo nel dibattito del futuro del giornalismo. Sono contento e onorato che le considerazioni fatte a tal proposito nel mio laboratorio abbiano trovato spazio nell'apposito contenitore nel sito della Fondazione ahref in cui si sono espressi tanti esperti.
Buona [ri]lettura. L'invito è quello di prestare la dovuta attenzione a tutti i contributi.
Buona [ri]lettura. L'invito è quello di prestare la dovuta attenzione a tutti i contributi.
giovedì 14 giugno 2012
Quantitativamente Qualitativo
Il dibattito sul futuro del giornalismo si impreziosisce di un ulteriore elemento: la qualità. Su tale concetto, la Fondazione ahref sta raccogliendo dei pareri autorevoli in un pezzo che, nel tempo, si sta arricchendo di considerazioni interessantissime. Voglio cavalcare l'onda e, dopo l'ultima voce - quella di PierLuca Santoro, provo a dare un contributo (non richiesto) riassumendo le conclusioni cui finora sono giunto sull'argomento e inserendo qualcosa di nuovo (il mio obiettivo è di raffinare il tutto per fine anno).
Sono convinto che il modello che salverà il giornalismo dovrà essere ispirato da una visione politica più che di mercato e le Persone, attorno alle quali andrà costruito tale modello, dovranno essere guidate in un percorso di crescita dell'intera Nazione.
Semplificando, come dicevo ieri concludendo l'analisi delle posizioni di PierLuca Santoro e Giuseppe Granieri (alle quali si è aggiunta quella di Luca De Biase), dovendo scegliere tra progresso e propaganda, la visione politica a mio parere vincente è quella che intraprende il primo dei due percorsi.
Credo che in gioco ci sia la qualità del contenuto distribuito nell'ecosistema dell'informazione.
Ora, siccome alla sostenibilità sociale del modello deve accompagnarsi quella economica (i.e. alle valutazioni emotive si deve accostare anche la valutazione dei bilanci), non deve stupire la schematizzazione con un "metodo matematico" di un concetto così sfuggente come quello di qualità.
Ecco, quindi, le cinque dimensioni che propongo per valutare la qualità di un contenuto giornalistico:
1. Professionalità
Probabilmente, il bollino Timu proposto da Luca De Biase dalla sua Fondazione, rappresenta la metrica migliore per l'asse cartesiano della Professionalità.
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto più esso sarà stato prodotto con metodo (giornalistico) professionale.
2. Tipologia
Nell'asse cartesiano della Tipologia di contenuto, a valori bassi si immagini corrisponda il contenuto di tipo gossip; a valori più alti si ipotizzi, invece la corrispondenza con contenuti, via via, di tipo sport, cultura, scienza e cronaca/politica.
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto più esso si discosterà dall'origine dell'asse della tipologia (i.e. il contenuto di maggiore qualità è quello di cronaca/politica; i.e. la Nazione cresce di più se consuma cronaca/politica).
3. Pluralismo
In questo caso i valori sull'asse cartesiano del Pluralismo sono almeno tre: pluralismo nullo (il più basso), pluralismo esterno e pluralismo interno (il più alto, e dirò perchè) della testata in cui si distribuisce il contenuto. La Rete è, per sua stessa natura, uno spazio che garantisce pluralismo esterno dato che ciascuno può pubblicare una notizia e discuterla. Il pluralismo interno, però, è quello che - almeno a mio parere - connota meglio (positivamente o meno) la testata.
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto maggiore sarà il tasso di pluralismo interno della testata che lo distribuisce, i.e. quanto maggiore sarà lo spazio dedicato dalla testata a voci diversamente collocate politicamente/culturalmente (mi riferisco anche ai semplici commenti dei Cittadini/Lettori e al grado di interazione che si instaura con il giornalista/autore).
4. Pubblicità
Considerando l'influenza che le inserzioni pubblicitarie hanno sul contenuto, la misura del numero di inserzioni - per usare il criterio più semplice, è un buon indicatore di qualità.
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto minore sarà il numero di inserzioni pubblicitarie della testata.
5. Accessibilità
Questo indicatore di qualità ha a che vedere con la tecnologia di distribuzione (i.e. piattaforma scelta dalla testata) e potrebbe assumere, in un quinto asse cartesiano dello spazio dei contenuti, diversi valori: dal valore nullo (accessibilità zero, i.e. test W3C completamente fallito) al valore 100 (accessibilità totale, i.e. test W3C passato completamente con successo).
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto maggiore sarà il tasso di accessibilità del Sito Internet che distribuisce il contenuto stesso, i.e. quanto maggiore è la garanzia di fruibilità anche per chi - cito da Wikipedia - ha ridotta o impedita capacità sensoriale, motoria, o psichica (ovvero affette da disabilità sia temporanea, sia stabile).
In conclusione, per usare un gergo matematico, il valore scalare ricavato dalla misura del contenuto sulle cinque dimensioni appena definite - magari opportunamente pesate - rappresenterebbe il coefficiente di qualità del contenuto stesso. E, per richiamare ancora una volta il mio Modello Fotovoltaico, lo Stato dovrebbe finanziare la distribuzione solo e soltanto dei contenuti che superano un'assegnata soglia.
Spero di non aver fatto troppa confusione nell'esporre il ragionamento che si fonda sulla (e, al tempo stesso, si ispira alla) ricerca di un equivalente monetario del benessere.
Sono convinto che il modello che salverà il giornalismo dovrà essere ispirato da una visione politica più che di mercato e le Persone, attorno alle quali andrà costruito tale modello, dovranno essere guidate in un percorso di crescita dell'intera Nazione.
Semplificando, come dicevo ieri concludendo l'analisi delle posizioni di PierLuca Santoro e Giuseppe Granieri (alle quali si è aggiunta quella di Luca De Biase), dovendo scegliere tra progresso e propaganda, la visione politica a mio parere vincente è quella che intraprende il primo dei due percorsi.
Credo che in gioco ci sia la qualità del contenuto distribuito nell'ecosistema dell'informazione.
Ora, siccome alla sostenibilità sociale del modello deve accompagnarsi quella economica (i.e. alle valutazioni emotive si deve accostare anche la valutazione dei bilanci), non deve stupire la schematizzazione con un "metodo matematico" di un concetto così sfuggente come quello di qualità.
Ecco, quindi, le cinque dimensioni che propongo per valutare la qualità di un contenuto giornalistico:
1. Professionalità
Probabilmente, il bollino Timu proposto da Luca De Biase dalla sua Fondazione, rappresenta la metrica migliore per l'asse cartesiano della Professionalità.
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto più esso sarà stato prodotto con metodo (giornalistico) professionale.
2. Tipologia
Nell'asse cartesiano della Tipologia di contenuto, a valori bassi si immagini corrisponda il contenuto di tipo gossip; a valori più alti si ipotizzi, invece la corrispondenza con contenuti, via via, di tipo sport, cultura, scienza e cronaca/politica.
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto più esso si discosterà dall'origine dell'asse della tipologia (i.e. il contenuto di maggiore qualità è quello di cronaca/politica; i.e. la Nazione cresce di più se consuma cronaca/politica).
3. Pluralismo
In questo caso i valori sull'asse cartesiano del Pluralismo sono almeno tre: pluralismo nullo (il più basso), pluralismo esterno e pluralismo interno (il più alto, e dirò perchè) della testata in cui si distribuisce il contenuto. La Rete è, per sua stessa natura, uno spazio che garantisce pluralismo esterno dato che ciascuno può pubblicare una notizia e discuterla. Il pluralismo interno, però, è quello che - almeno a mio parere - connota meglio (positivamente o meno) la testata.
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto maggiore sarà il tasso di pluralismo interno della testata che lo distribuisce, i.e. quanto maggiore sarà lo spazio dedicato dalla testata a voci diversamente collocate politicamente/culturalmente (mi riferisco anche ai semplici commenti dei Cittadini/Lettori e al grado di interazione che si instaura con il giornalista/autore).
4. Pubblicità
Considerando l'influenza che le inserzioni pubblicitarie hanno sul contenuto, la misura del numero di inserzioni - per usare il criterio più semplice, è un buon indicatore di qualità.
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto minore sarà il numero di inserzioni pubblicitarie della testata.
5. Accessibilità
Questo indicatore di qualità ha a che vedere con la tecnologia di distribuzione (i.e. piattaforma scelta dalla testata) e potrebbe assumere, in un quinto asse cartesiano dello spazio dei contenuti, diversi valori: dal valore nullo (accessibilità zero, i.e. test W3C completamente fallito) al valore 100 (accessibilità totale, i.e. test W3C passato completamente con successo).
Un contenuto sarà tanto più di qualità, quanto maggiore sarà il tasso di accessibilità del Sito Internet che distribuisce il contenuto stesso, i.e. quanto maggiore è la garanzia di fruibilità anche per chi - cito da Wikipedia - ha ridotta o impedita capacità sensoriale, motoria, o psichica (ovvero affette da disabilità sia temporanea, sia stabile).
In conclusione, per usare un gergo matematico, il valore scalare ricavato dalla misura del contenuto sulle cinque dimensioni appena definite - magari opportunamente pesate - rappresenterebbe il coefficiente di qualità del contenuto stesso. E, per richiamare ancora una volta il mio Modello Fotovoltaico, lo Stato dovrebbe finanziare la distribuzione solo e soltanto dei contenuti che superano un'assegnata soglia.
Spero di non aver fatto troppa confusione nell'esporre il ragionamento che si fonda sulla (e, al tempo stesso, si ispira alla) ricerca di un equivalente monetario del benessere.
mercoledì 13 giugno 2012
My one cent!
La discussione tra/con Giuseppe Granieri e PierLuca Santoro si fa davvero interessante. Riproponendone il pensiero con degli screenshot che spero aiutino quanto hanno aiutato me, voglio provare ad integrare con delle mie considerazioni che, con lo scopo di aiutare la lettura, ho pubblicato con un carattere di maggiori dimensioni.
Giuseppe Granieri insiste su un punto in cui mi trova totalmente d'accordo: la sostenibilità economica.
PierLuca Santoro, ribatte su due aspetti: gli investimenti pubblicitari che aumentano almeno per la categoria dei brand del lusso e la fascia alla quale la carta continua ad interessare, quella dei top manager. Sulla realtà aumentata, per quanto si tratti di una soluzione carica di incredibile fascino, continuo a pensare sia un accanimento terapeutico.
Aggiungo una considerazione: per il ruolo sociale di crescita di un paese democratico (quale dovrebbe essere il nostro) che il giornalismo svolge (o, almeno, dovrebbe svolgere), sono convinto - e [me] lo dimostrerebbero, per il momento, anche i numeri - che la carta sia una strada da continuare a seguire con interesse solo nel caso in cui il bacino di utenza sia molto ristretto: il futuro social (oltre che, ovviamente, sociale) che immaginiamo per le testate nazionali e internazionali sul Web, è una tendenza, una dinamica da sempre in atto su carta per i piccoli centri (il commento non è un post su Facebook o un Tweet, ma una voce in una caffetteria, in un bar); in tal caso la crescita sociale è garantita. Aggiungerei anche che l'(ultra)località non sembra essere premiante online.
Su questo punto mi sembra ci sia accordo.
Io porrei l'accento sulla questione design di cui parla PierLuca Santoro: ancora oggi, soprattutto per le testate più famose (Repubblica su tutte), i canoni di Jakob Nielsen sono praticamente una chimera. Confesso di non avere nessuna esperienza personale sulle applicazioni Smartphone e Tablet, ma sul Web si sfiora davvero il disastro. Da queste considerazioni credo provenga la soluzione del problema.
Lo scenario dipinto da Giuseppe Granieri lascia poco spazio alle interpretazioni. L'unico spiraglio sta nell'informatizzazione delle Edicole sponsorizzata da PierLuca Santoro (e anche dal sottoscritto). Il print on demand credo sia una soluzione stimolante anche per lo stesso Lettore/Cittadino ma, anche qui, vale il discorso che si faceva al punto A.: tale soluzione la immagino valida e premiante soltanto a livello (ultra)locale con una declinazione del tipo: "del quotidiano - (ultra)locale mi stampo solo le notizie sulla mia città/provincia".
Oltre che radicale, come dice Giuseppe Granieri, trovo anche risibile la convinzione diffusa tra le Persone/Cittadini/Lettori che l'informazione online vuole essere gratuita.
Concordo con PierLuca Santoro quando parla della necessità di spiegare, non di mostrare.
Qui entra in gioco il percorso, in un ecosistema evidentemente da ristrutturare, che, a partire dai dati grezzi, dalle notizie nude (quelle si che, ormai, hanno ragione di essere gratuite!), arriva alla loro "significazione" e "contestualizzazione". E, c'è poco da fare, questo percorso, che ho sintetizzato nello schema WIKiD, non può prescindere da due agenti, quello tecnologico e quello umano, che hanno un costo che lo Stato dovrebbe in parte finanziare. Come? Investendo in infrastrutture e nella distribuzione dei contenuti di qualità secondo quanto previsto dal Modello Fotovoltaico. In un tale quadro, ed in questo credo di concordare con PierLuca Santoro, occorrerebbe rivedere anche le modalità con cui si distribuisce la pubblicità. La mia personale visione è quella di "una inserzione che faccia notizia"; per la declinazione (ovviamente etica) di tale visione la palla passa agli esperti.
Come ho già tante volte detto, penso che la soluzione sarà la migliore declinazione del modello che mette al centro le Persone. Tale modello non dovrà guardare le Persone come un Target cui propinare un prodotto, ma come risorse di una Nazione che, per crescere, occorre siano anche opportunamente guidate secondo una visione dichiaratamente politica (volendo banalizzare si potrebbe dire che si contendono lo scettro il progresso e la propaganda): i giornalisti e i lettori, tutti Cittadini, protagonisti di un ecosistema e in un rapporto che dovrebbe ricompensare tutti (anche attraverso una logica di microguadagno di convidisione, contemplata dal Modello Fotovoltaico) anche da un punto di vista "meramente economico": il giornalista produce qualità e il lettore ne riconosce il valore.
Mi auguro che anche le mie considerazioni siano (state) di qualche aiuto.
Aggiornamento del 13 Giugno 2012
Mi era sfuggito questo pezzo di Luca De Biase, a proposito della formula magica per il giornalismo:
L’unica magia che si può sviluppare in questo settore è la creazione di comunità che trovano ispirazione nella relazione tra coloro che di volta in volta si trovano a svolgere il ruolo di pubblico e autori, con l’eventuale supporto abilitante di autori professionisti, designer, programmatori. Nel quadro di uno scopo civico, esplicito e condiviso.
A. LA CARTA HA FINITO IL SUO CICLO
Giuseppe Granieri insiste su un punto in cui mi trova totalmente d'accordo: la sostenibilità economica.
PierLuca Santoro, ribatte su due aspetti: gli investimenti pubblicitari che aumentano almeno per la categoria dei brand del lusso e la fascia alla quale la carta continua ad interessare, quella dei top manager. Sulla realtà aumentata, per quanto si tratti di una soluzione carica di incredibile fascino, continuo a pensare sia un accanimento terapeutico.
Aggiungo una considerazione: per il ruolo sociale di crescita di un paese democratico (quale dovrebbe essere il nostro) che il giornalismo svolge (o, almeno, dovrebbe svolgere), sono convinto - e [me] lo dimostrerebbero, per il momento, anche i numeri - che la carta sia una strada da continuare a seguire con interesse solo nel caso in cui il bacino di utenza sia molto ristretto: il futuro social (oltre che, ovviamente, sociale) che immaginiamo per le testate nazionali e internazionali sul Web, è una tendenza, una dinamica da sempre in atto su carta per i piccoli centri (il commento non è un post su Facebook o un Tweet, ma una voce in una caffetteria, in un bar); in tal caso la crescita sociale è garantita. Aggiungerei anche che l'(ultra)località non sembra essere premiante online.
B. IL CICLO DEL DIGITALE STA APPENA INIZIANDO
Su questo punto mi sembra ci sia accordo.
Io porrei l'accento sulla questione design di cui parla PierLuca Santoro: ancora oggi, soprattutto per le testate più famose (Repubblica su tutte), i canoni di Jakob Nielsen sono praticamente una chimera. Confesso di non avere nessuna esperienza personale sulle applicazioni Smartphone e Tablet, ma sul Web si sfiora davvero il disastro. Da queste considerazioni credo provenga la soluzione del problema.
C. FATTORI INDUSTRIALI
Lo scenario dipinto da Giuseppe Granieri lascia poco spazio alle interpretazioni. L'unico spiraglio sta nell'informatizzazione delle Edicole sponsorizzata da PierLuca Santoro (e anche dal sottoscritto). Il print on demand credo sia una soluzione stimolante anche per lo stesso Lettore/Cittadino ma, anche qui, vale il discorso che si faceva al punto A.: tale soluzione la immagino valida e premiante soltanto a livello (ultra)locale con una declinazione del tipo: "del quotidiano - (ultra)locale mi stampo solo le notizie sulla mia città/provincia".
D. NUOVE SOLUZIONI PER NUOVI PROBLEMI
Oltre che radicale, come dice Giuseppe Granieri, trovo anche risibile la convinzione diffusa tra le Persone/Cittadini/Lettori che l'informazione online vuole essere gratuita.
Concordo con PierLuca Santoro quando parla della necessità di spiegare, non di mostrare.
Qui entra in gioco il percorso, in un ecosistema evidentemente da ristrutturare, che, a partire dai dati grezzi, dalle notizie nude (quelle si che, ormai, hanno ragione di essere gratuite!), arriva alla loro "significazione" e "contestualizzazione". E, c'è poco da fare, questo percorso, che ho sintetizzato nello schema WIKiD, non può prescindere da due agenti, quello tecnologico e quello umano, che hanno un costo che lo Stato dovrebbe in parte finanziare. Come? Investendo in infrastrutture e nella distribuzione dei contenuti di qualità secondo quanto previsto dal Modello Fotovoltaico. In un tale quadro, ed in questo credo di concordare con PierLuca Santoro, occorrerebbe rivedere anche le modalità con cui si distribuisce la pubblicità. La mia personale visione è quella di "una inserzione che faccia notizia"; per la declinazione (ovviamente etica) di tale visione la palla passa agli esperti.
E. LE SOLUZIONI
Come ho già tante volte detto, penso che la soluzione sarà la migliore declinazione del modello che mette al centro le Persone. Tale modello non dovrà guardare le Persone come un Target cui propinare un prodotto, ma come risorse di una Nazione che, per crescere, occorre siano anche opportunamente guidate secondo una visione dichiaratamente politica (volendo banalizzare si potrebbe dire che si contendono lo scettro il progresso e la propaganda): i giornalisti e i lettori, tutti Cittadini, protagonisti di un ecosistema e in un rapporto che dovrebbe ricompensare tutti (anche attraverso una logica di microguadagno di convidisione, contemplata dal Modello Fotovoltaico) anche da un punto di vista "meramente economico": il giornalista produce qualità e il lettore ne riconosce il valore.
Mi auguro che anche le mie considerazioni siano (state) di qualche aiuto.
Aggiornamento del 13 Giugno 2012
Mi era sfuggito questo pezzo di Luca De Biase, a proposito della formula magica per il giornalismo:
L’unica magia che si può sviluppare in questo settore è la creazione di comunità che trovano ispirazione nella relazione tra coloro che di volta in volta si trovano a svolgere il ruolo di pubblico e autori, con l’eventuale supporto abilitante di autori professionisti, designer, programmatori. Nel quadro di uno scopo civico, esplicito e condiviso.
domenica 10 giugno 2012
tra Ottimismo e Pessimismo
Le possibilità di recupero dei ricavi [per i quotidiani] sono legate essenzialmente o alla capacità di generare grandi volumi di traffico che attirino gli inserzionisti o, in alternativa, di produrre contenuti specialistici di elevata qualità che le persone siano disposte a pagare; per il resto non pare esserci spazio in prospettiva.
Questo un brano del suo pezzo di stamattina con cui PierLuca Santoro, l'ottimista, risponde a Giuseppe Granieri, che ottimista lo è di meno, a proposito del futuro dei quotidiani. Si discute, in un ping
Io, con il Modello Fotovoltaico, le mie conclusioni teoriche, di fatto, le ho già tratte immaginando uno scenario, forse una terza via, che pone al centro le Persone, chi scrive e chi legge, in una logica di proiezione verso la crescita della Società in cui vivono, in cui viviamo (cos'è il Giornalismo se non uno strumento strategico di crescita di una democrazia? Come non pensare a quanto, socialmente, siamo indietro e mettere in relazione a questa regressione uno stato comatoso - salvo i casi virtuosi - delle testate?).
Tra la capacità di generare traffico - su contenuti gratuti per chi legge - e, quindi, di catturare inserzioni pubblicitarie e la proposta di contenuti specialistici che conquistino la fiducia e i soldi dei Cittadini, io penso ci possa essere un (nuovo?) giornalismo fatto - quotidianamente - in un (nuovo?) ecosistema in cui si riconosca a tutti, semplicemente e senza alcun artefatto, il lavoro svolto,e i meriti di fare e stimolare - con la partecipazione - il giornalismo.
In questa seconda metà del 2012 cercherò di sintetizzare, anche da un punto di vista quantitativo, tali conclusioni che, da sempre in questo spazio, hanno avuto solo i caratteri della teoria: studiare questo argomento, condirlo di sociologia e matematica, rappresentano per me l'ultimo entusiasmante sforzo prima di passare a [s]parlare d'altro.
domenica 15 aprile 2012
Warm Up
L'articolo di ItaliaOggi, "News online, non per forza gratis", uno degli ultimi Scoop di Lelio Simi su "giornalismo digitale - nuovi giornalismi, giornalismo 2.0 e strumenti digitali", da voce a Giulio Lattanzi, direttore generale quotidiani di RCS e ricorda le parole pronunciate qualche tempo fa da Carlo De Benedetti, presidente del gruppo Espresso.
Argomento: pagamento dei contenuti online. Sembra stia davvero per arrivare in Italia il momento per i quotidiani generalisti.
Il Modello Fotovoltaico, quello presentato a Settembre, ha una palese ispirazione politica. Le simulazioni che mi stanno conducendo alla stima del prezzo che un [determinato tipo di] articolo online dovrebbe avere, credo - alla fine - porteranno alla formalizzazione di un meccanismo equo per una transazione economica che, anche al netto dell'impronta sociale che il Modello ha, non si può continuare a ritenere ad esclusivo vantaggio dell'Editore.
Per fine anno penso di concludere. Nel frattempo, in questa fase che sembra quasi di Warm Up e nella quale molte resistenze dovranno essere vinte (da una parte e dall'altra, da quella di chi produce e quella di chi consuma), sono curioso di vedere come gli Editori si muoveranno.
Argomento: pagamento dei contenuti online. Sembra stia davvero per arrivare in Italia il momento per i quotidiani generalisti.
Il Modello Fotovoltaico, quello presentato a Settembre, ha una palese ispirazione politica. Le simulazioni che mi stanno conducendo alla stima del prezzo che un [determinato tipo di] articolo online dovrebbe avere, credo - alla fine - porteranno alla formalizzazione di un meccanismo equo per una transazione economica che, anche al netto dell'impronta sociale che il Modello ha, non si può continuare a ritenere ad esclusivo vantaggio dell'Editore.
Per fine anno penso di concludere. Nel frattempo, in questa fase che sembra quasi di Warm Up e nella quale molte resistenze dovranno essere vinte (da una parte e dall'altra, da quella di chi produce e quella di chi consuma), sono curioso di vedere come gli Editori si muoveranno.
sabato 3 marzo 2012
la "e" che fa la differenza #ilsabatodimdplab #17
Ispirato in qualche modo dai fatti della Val Susa, questo sabato mi prendo la libertà di fare un punto della situazione. Stiamo assistendo all'ennesimo tentativo di conquista di un pascolo vergine in cui la crescita è obiettivo primario solo dell'Impresa, non dei cittadini [e non parlo solo degli abitanti delle valli]. People First, si diceva una settimana fa, ma qui il motto sembra essere Business is Business, un po' come nel campo dell'informazione.
Notizie Social, Piattaforme Social. Se si parlasse di Notizie Sociali e Piattaforme Sociali sarebbe meglio.
Non siamo anglosassoni e sappiamo benissimo la differenza tra social e sociale. Il Social è una moda, il Sociale è uno stile di vita; il Social non ha troppa consapevolezza [quella di - non - sapere esattamente cosa si sta facendo, lasciandosi trasportare da un'onda che sa rimbecillire], il Sociale è la consapevolezza di una scelta. Se, come si dice, l'informazione è un processo sociale, ci si deve augurare che presto si inizi a declinare questo paradigma utilizzando il Social come un mezzo.
Ci sono dei casi da seguire con molto interesse e, così pare, anche in Italia ci si sta attrezzando.
Io credo che, per aggiungere la "e" mancante al Social imperante, ci sia da fare una battaglia culturale per affermare un modello, uno stile - come dicevo prima - che [ri]pulisca l'informazione da ogni condizionamento e induca i cittadini a pensarsi come parte dell'informazione stessa. Non, però, [sol]tanto nel senso del crowdsourcing o giornalismo partecipativo (fate voi), ma quanto [anche] nel ruolo che ciascuno deve avere nel processo di significazione e contestualizzazione della notizia.
C'è, a mio avviso, un solo modo per fare questo: riconoscere a tutti gli attori il valore che aggiungono a tale processo. che diventa tanto più credibile quanto più, mi ripeto, spogliato da condizionamenti. Di quali condizionamenti parlo? Uno su tutti, la tirannia della pubblicità: non contento delle ricerche già fatte in questo ambito, per il lavoro che sto portando avanti con ETicaNews.it, sto toccando con mano quanto strane siano le dinamiche nel pubblicare notizie e annunci pubblicitari.
Se vogliono credibilità i giornalisti - e, pertanto, vogliono meritare il soldo - rinuncino a lavorare per una testata che libera non è; si facciano promotori di un'Impresa Editoriale con finalità sociali. E si conceda, poi, un soldo anche ai cittadini che hanno contribuito ad un processo di crescita intorno alla notizia.
Una notizia che, in questo modo, diventa "Equa e Solidale", cioè "SocialE". Con la E maiuscola.
Notizie Social, Piattaforme Social. Se si parlasse di Notizie Sociali e Piattaforme Sociali sarebbe meglio.
Non siamo anglosassoni e sappiamo benissimo la differenza tra social e sociale. Il Social è una moda, il Sociale è uno stile di vita; il Social non ha troppa consapevolezza [quella di - non - sapere esattamente cosa si sta facendo, lasciandosi trasportare da un'onda che sa rimbecillire], il Sociale è la consapevolezza di una scelta. Se, come si dice, l'informazione è un processo sociale, ci si deve augurare che presto si inizi a declinare questo paradigma utilizzando il Social come un mezzo.
Ci sono dei casi da seguire con molto interesse e, così pare, anche in Italia ci si sta attrezzando.
Io credo che, per aggiungere la "e" mancante al Social imperante, ci sia da fare una battaglia culturale per affermare un modello, uno stile - come dicevo prima - che [ri]pulisca l'informazione da ogni condizionamento e induca i cittadini a pensarsi come parte dell'informazione stessa. Non, però, [sol]tanto nel senso del crowdsourcing o giornalismo partecipativo (fate voi), ma quanto [anche] nel ruolo che ciascuno deve avere nel processo di significazione e contestualizzazione della notizia.
C'è, a mio avviso, un solo modo per fare questo: riconoscere a tutti gli attori il valore che aggiungono a tale processo. che diventa tanto più credibile quanto più, mi ripeto, spogliato da condizionamenti. Di quali condizionamenti parlo? Uno su tutti, la tirannia della pubblicità: non contento delle ricerche già fatte in questo ambito, per il lavoro che sto portando avanti con ETicaNews.it, sto toccando con mano quanto strane siano le dinamiche nel pubblicare notizie e annunci pubblicitari.
Se vogliono credibilità i giornalisti - e, pertanto, vogliono meritare il soldo - rinuncino a lavorare per una testata che libera non è; si facciano promotori di un'Impresa Editoriale con finalità sociali. E si conceda, poi, un soldo anche ai cittadini che hanno contribuito ad un processo di crescita intorno alla notizia.
Una notizia che, in questo modo, diventa "Equa e Solidale", cioè "SocialE". Con la E maiuscola.
mercoledì 22 febbraio 2012
@tigella a Chicago [note sulle critiche di @lsdi]
Ce l'abbiamo fatta: mandiamo Tigella a Chicago!
Non mi faccio sedurre dal tecnoentusiasmo che ha evidentemente, ancora una volta, rapito Riccardo Luna; ma non condivido nemmeno il tono preoccupato del team di LSDI quando dice che "Chiedere soldi per un progetto editoriale, in un contesto in cui l’informazione online è gratuita di rigore, si avvicina pericolosamente al tradizionale acquisto del giornale in edicola."
E' una posizione che non riesco a capire e, molto brevemente, provo a spiegare le mie ragioni:
1. Se l'informazione online, almeno in Italia, continua a rimanere gratuita, ci sarà una ragione, no? Vedo, per come viene posta la questione, una passiva accettazione di uno stato di cose che, invece, proprio gli esperti dovrebbero contribuire a cambiare. E non mi spiego, proprio per il modo in cui intendo e percepisco l'impegno di LSDI, come non si possa guardare con curiosità ad un caso come quello di Tigella che va a Chicago pagata da noi; non mi spiego come si possa parlare di mancato giornalismo senza aver nemmeno visto come andrà a finire. Magari alla fine avranno avuto anche ragione ma, ora, non riesco a condividere quasi nessuna delle considerazioni di LSDI.
2. Acquistare un giornale in edicola è cosa molto diversa da finanziare una iniziativa nella quale si crede. Insomma Claudia abbiamo imparato a conoscerla; certo, dovrà dimostrare di essere all'altezza di tutta la fiducia che le abbiamo voluto dare ma, almeno credo, potremo parlarle, forse anche guidarla - interessati a determinati aspetti dei fatti piuttosto che ad altri. Se Claudia, ad esempio, dovesse prendere in considerazione l'interessante proposta dell'evento notturno, beh, questa esperienza sarebbe per noi lettori molto di più che acquistare un giornale in edicola. Non so dire se si tratta di futuro del giornalismo ma a me l'idea di una notizia equa e solidale piace e voglio vedere se può funzionare oppure no.
In buona sostanza, fatti salvi i preziosi consigli, quelle di LSDI mi sono sembrate delle critiche di parte. Spero di essermi sbagliato e chiedo, a chi ancora frequenta questo spazio, di farmi capire dove.
A Claudia auguro buon viaggio e un grosso in bocca al lupo. Spero non ci deluda!
P.S. per chi, leggendo su LSDI, non sapesse chi è Claudia, questo è il suo profilo Twitter!
Non mi faccio sedurre dal tecnoentusiasmo che ha evidentemente, ancora una volta, rapito Riccardo Luna; ma non condivido nemmeno il tono preoccupato del team di LSDI quando dice che "Chiedere soldi per un progetto editoriale, in un contesto in cui l’informazione online è gratuita di rigore, si avvicina pericolosamente al tradizionale acquisto del giornale in edicola."
E' una posizione che non riesco a capire e, molto brevemente, provo a spiegare le mie ragioni:
1. Se l'informazione online, almeno in Italia, continua a rimanere gratuita, ci sarà una ragione, no? Vedo, per come viene posta la questione, una passiva accettazione di uno stato di cose che, invece, proprio gli esperti dovrebbero contribuire a cambiare. E non mi spiego, proprio per il modo in cui intendo e percepisco l'impegno di LSDI, come non si possa guardare con curiosità ad un caso come quello di Tigella che va a Chicago pagata da noi; non mi spiego come si possa parlare di mancato giornalismo senza aver nemmeno visto come andrà a finire. Magari alla fine avranno avuto anche ragione ma, ora, non riesco a condividere quasi nessuna delle considerazioni di LSDI.
2. Acquistare un giornale in edicola è cosa molto diversa da finanziare una iniziativa nella quale si crede. Insomma Claudia abbiamo imparato a conoscerla; certo, dovrà dimostrare di essere all'altezza di tutta la fiducia che le abbiamo voluto dare ma, almeno credo, potremo parlarle, forse anche guidarla - interessati a determinati aspetti dei fatti piuttosto che ad altri. Se Claudia, ad esempio, dovesse prendere in considerazione l'interessante proposta dell'evento notturno, beh, questa esperienza sarebbe per noi lettori molto di più che acquistare un giornale in edicola. Non so dire se si tratta di futuro del giornalismo ma a me l'idea di una notizia equa e solidale piace e voglio vedere se può funzionare oppure no.
In buona sostanza, fatti salvi i preziosi consigli, quelle di LSDI mi sono sembrate delle critiche di parte. Spero di essermi sbagliato e chiedo, a chi ancora frequenta questo spazio, di farmi capire dove.
A Claudia auguro buon viaggio e un grosso in bocca al lupo. Spero non ci deluda!
P.S. per chi, leggendo su LSDI, non sapesse chi è Claudia, questo è il suo profilo Twitter!
sabato 11 febbraio 2012
in Bocca al Lupo @tigella #occupychicago
Che cos'è una notizia equa e solidale?
Come dicevo qualche tempo fa, si tratta di un prodotto di una Impresa Editoriale con Finalità Sociali, alla Yunus (nessun profitto ed eventuale surplus reinvestito in competenze e tecnologie).
Com'è impostata una transazione nell'economia dell'equo e solidale?
Rispondo con l'esempio dei GAS, i gruppi di acquisto solidale: l'ecosistema dei GAS si basa sulla coscienza critica sia di chi vende sia di chi acquista; la Finalità Sociale (non sempre e non necessariamente alla Yunus, per la verità) dell'Impresa viene garantita dal produttore e riconosciuta dal consumatore lungo una filiera produttiva (per lo meno da un punto di vista, come dire, ideologico) praticamente azzerata: pago quel prodotto perchè conosco il produttore e voglio sostenerlo.
Pagherei quella notizia equa e solidale, quindi, perchè conosco il produttore e voglio sostenerlo.
Non mi aveva convinto Claudia Vago (tigella): poca emozione nell'annuncio del suo progetto. Così, per farmi un'idea precisa, le ho voluto scrivere e, quando mi ha trasmesso passione e detto di aver rinunciato a due proposte di testate giornalistiche aggiungendo poi: "tengo davvero a farlo "dal basso", col rapporto diretto tra chi paga e io che produco contenuti. perché è una cosa nuova e importante. devo farlo così, altrimenti non ha lo stesso valore", ho riconosciuto nella sua iniziativa un possibile modello di Editoria Sociale (in questo caso il finanziamento, come proponeva Roberto, arriva proprio dal basso e non come contributo statale come in realtà sostengo io).
Voglio vedere se funziona. Ecco perchè, oltre tutto, sostengo il progetto di Claudia. Ecco perchè pubblico nella mia sidebar il widget promozionale del progetto.
In bocca al lupo tigella!
Come dicevo qualche tempo fa, si tratta di un prodotto di una Impresa Editoriale con Finalità Sociali, alla Yunus (nessun profitto ed eventuale surplus reinvestito in competenze e tecnologie).
Com'è impostata una transazione nell'economia dell'equo e solidale?
Rispondo con l'esempio dei GAS, i gruppi di acquisto solidale: l'ecosistema dei GAS si basa sulla coscienza critica sia di chi vende sia di chi acquista; la Finalità Sociale (non sempre e non necessariamente alla Yunus, per la verità) dell'Impresa viene garantita dal produttore e riconosciuta dal consumatore lungo una filiera produttiva (per lo meno da un punto di vista, come dire, ideologico) praticamente azzerata: pago quel prodotto perchè conosco il produttore e voglio sostenerlo.
Pagherei quella notizia equa e solidale, quindi, perchè conosco il produttore e voglio sostenerlo.
Non mi aveva convinto Claudia Vago (tigella): poca emozione nell'annuncio del suo progetto. Così, per farmi un'idea precisa, le ho voluto scrivere e, quando mi ha trasmesso passione e detto di aver rinunciato a due proposte di testate giornalistiche aggiungendo poi: "tengo davvero a farlo "dal basso", col rapporto diretto tra chi paga e io che produco contenuti. perché è una cosa nuova e importante. devo farlo così, altrimenti non ha lo stesso valore", ho riconosciuto nella sua iniziativa un possibile modello di Editoria Sociale (in questo caso il finanziamento, come proponeva Roberto, arriva proprio dal basso e non come contributo statale come in realtà sostengo io).
Voglio vedere se funziona. Ecco perchè, oltre tutto, sostengo il progetto di Claudia. Ecco perchè pubblico nella mia sidebar il widget promozionale del progetto.
In bocca al lupo tigella!
sabato 28 gennaio 2012
il Valore di una Guida #ilsabatodimdplab #12
Pare che rimanere anonimi per Google sarà sempre più difficile stando a quanto viene dichiarato sul Wall Street Journal. Una delle più prolifiche macchine da soldi degli ultimi anni, Google per l'appunto, dovrebbe cominciare a combinare i dati che noi lasciamo con le nostre sottoscrizioni, e il successivo loro utilizzo, nei vari servizi: Gmail e YouTube ad esempio. L'obiettivo? Quello di migliorare la nostra esperienza di ricerca. Lo scenario è abbastanza inquietante: è forte, infatti, la sensazione che, quello che ci si sta preparando davanti, sia uno spazio (grande, immenso quanto si vuole) destinato a rimanere uguale a se stesso; uno spazio - l'universo Google - in cui si rafforzeranno sempre più le connessioni forti (Capitale Sociale Bonding) indebolendo quelle deboli (Capitale Sociale Bridging). Nessuno se ne accorgerà (perchè lo considerazioni sul Capitale Sociale sono di chi ha tempo da perdere!), ma alla fine ci renderemo conto di essere cresciuti un pò di meno di quello che la tecnologia permetterebbe (Eli Pariser direbbe che rimarremo intrappolati in una Filter Bubble). Ben vengano, quindi, tutti gli altri universi e tutte le pratiche che la Rete ci abilita per sfuggire all'effetto database (o della Torre di Cuntz).
Twitter, ma non ne sono poi così sicuro, è uno di questi universi-altri. A detta del co-fondatore Jack Dorsey, quella social - di Twitter - rappresenta soltanto un aspetto. Twitter è anche un servizio di news personale tanto quanto un social network. "You don't have to tweet at all. The biggest value is finding out what's happening in your world in real time.", dice Dorsey riferendosi, evidentemente anche a ciò che Twitter ha saputo diventare durante le rivoluzioni arabe. Trascura, forse, il necessario ruolo di figure (professionali a tutti gli effetti) che filtrino il buono dal cattivo, il rilevante dal rumore, il senso dal trending topic; figure che orientino nella giungla di ciò che non sempre è informazione o conoscenza. Una conoscenza che, dice Benedetto XVI, può anche essere conoscenza di sè. Perchè anche i Tweet, ha dichiarato il Papa, possono comunicare un messaggio profondo. Almeno fino a quando - aggiungo io - non ci si impegni troppo: quel che si vuole appaia profondo, in 140 caratteri (per fortuna non ne sono di più), a volte - proprio alla ricerca del TT - diventa penosamente banale!
Il problema è che Twitter, proprio come Google, è un'Azienda e deve far soldi; e per far soldi deve conquistare altri territori. Pare che, nella sua espansione, vorrà (dovrà?) permettere la cancellazione di messaggi vietati nei Paesi in cui è per legge ristretta la libertà di espressione. Come dice Claudia nell'articolo su la Stampa: "Twitter non fa le rivoluzioni, ma se i tweet su #ows non fossero visibili in Usa la storia sarebbe stata molto diversa". Staremo a vedere; di mezzo c'è, oltre che la libertà di espressione, anche quella di salvaguardare l'ecosistema informativo.
Certo, senza la materia prima (le informazioni, le espressioni delle persone, e.g. i tweet), il banco salterebbe. Ma, assumendo che tale materia prima esiste, avendo riconosciuto - come dicevo prima - la necessità di un ruolo professionale di filtro, la domanda è sempre la stessa: quale il miglior modello di business? Un modo complicato per dire: come riconoscere il valore delle informazioni distribuite? Quale deve essere tale valore? Ma, soprattutto, come far capire che un valore va riconosciuto? Luca De Biase, a proposito dell'economia dell'informazione, si è spinto ai "confini della realtà" parlando un linguaggio che non sono riuscito a comprendere: il denaro è una forma di informazione. Sono diversi giorni che ci penso ma - in mancanza di feedback - non riesco a venirne a capo: a mio parere il denaro è solo un mezzo (forse Luca De Biase mi direbbe che è proprio questa, interpretando alla McLuhan, la ragione per cui il denaro può essere informazione) per ripagare, oltre che il valore dell'informazione, anche quello delle connessioni sociali che ci aiutano a darle senso.
La risposta alle domande che sono sul tappeto devono ovviamente tener conto dello scenario di riferimento. Per l'Italia sappiamo, dall'ISTAT (via), che nell'ultimo anno c'è stato un calo delle sottoscrizioni di abbonamenti alle news (-1,5%). Sappiamo poi dal rapporto Edelman (via) che è aumentato il tasso di fiducia nei media (dal 45% al 57%); il fatto è che sono le fonti di informazione tradizionale a farla ancora da padrone. Sono quindi incuriosito dagli esiti dell'esperimento de il Fatto Quotidiano. Sono sicuro, intanto, che un ruolo importante sia quello delle testate che si candidano, in nome della trasparenza, a guida per i cittadini in questa giungla informativa con un forte impegno nella riqualificazione dell'informazione in senso etico. Una guida che, in uno scenario come quello rappresentato dalla ricerca condotta dal Gruppo di lavoro su Qualità dell’ informazione e pubblicità del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti insieme all’ Università di Urbino Carlo Bo, dall’équipe di ricerca guidata da Giovanni Boccia Artieri; una guida, dicevo, quanto mai opportuna.
Ci vuole una guida, quindi. Come quando visitiamo un posto nuovo, in cui non capiamo la lingua e non conosciamo le tradizioni. E bisogna anche riconoscerne il valore. Ecco perchè voglio chiudere con una argomento a me molto caro: il portale italiano del turismo, italia.it: pare che il nuovo ministro abbia buone intenzioni. Gli dobbiamo credere?
Twitter, ma non ne sono poi così sicuro, è uno di questi universi-altri. A detta del co-fondatore Jack Dorsey, quella social - di Twitter - rappresenta soltanto un aspetto. Twitter è anche un servizio di news personale tanto quanto un social network. "You don't have to tweet at all. The biggest value is finding out what's happening in your world in real time.", dice Dorsey riferendosi, evidentemente anche a ciò che Twitter ha saputo diventare durante le rivoluzioni arabe. Trascura, forse, il necessario ruolo di figure (professionali a tutti gli effetti) che filtrino il buono dal cattivo, il rilevante dal rumore, il senso dal trending topic; figure che orientino nella giungla di ciò che non sempre è informazione o conoscenza. Una conoscenza che, dice Benedetto XVI, può anche essere conoscenza di sè. Perchè anche i Tweet, ha dichiarato il Papa, possono comunicare un messaggio profondo. Almeno fino a quando - aggiungo io - non ci si impegni troppo: quel che si vuole appaia profondo, in 140 caratteri (per fortuna non ne sono di più), a volte - proprio alla ricerca del TT - diventa penosamente banale!
Il problema è che Twitter, proprio come Google, è un'Azienda e deve far soldi; e per far soldi deve conquistare altri territori. Pare che, nella sua espansione, vorrà (dovrà?) permettere la cancellazione di messaggi vietati nei Paesi in cui è per legge ristretta la libertà di espressione. Come dice Claudia nell'articolo su la Stampa: "Twitter non fa le rivoluzioni, ma se i tweet su #ows non fossero visibili in Usa la storia sarebbe stata molto diversa". Staremo a vedere; di mezzo c'è, oltre che la libertà di espressione, anche quella di salvaguardare l'ecosistema informativo.
Certo, senza la materia prima (le informazioni, le espressioni delle persone, e.g. i tweet), il banco salterebbe. Ma, assumendo che tale materia prima esiste, avendo riconosciuto - come dicevo prima - la necessità di un ruolo professionale di filtro, la domanda è sempre la stessa: quale il miglior modello di business? Un modo complicato per dire: come riconoscere il valore delle informazioni distribuite? Quale deve essere tale valore? Ma, soprattutto, come far capire che un valore va riconosciuto? Luca De Biase, a proposito dell'economia dell'informazione, si è spinto ai "confini della realtà" parlando un linguaggio che non sono riuscito a comprendere: il denaro è una forma di informazione. Sono diversi giorni che ci penso ma - in mancanza di feedback - non riesco a venirne a capo: a mio parere il denaro è solo un mezzo (forse Luca De Biase mi direbbe che è proprio questa, interpretando alla McLuhan, la ragione per cui il denaro può essere informazione) per ripagare, oltre che il valore dell'informazione, anche quello delle connessioni sociali che ci aiutano a darle senso.
La risposta alle domande che sono sul tappeto devono ovviamente tener conto dello scenario di riferimento. Per l'Italia sappiamo, dall'ISTAT (via), che nell'ultimo anno c'è stato un calo delle sottoscrizioni di abbonamenti alle news (-1,5%). Sappiamo poi dal rapporto Edelman (via) che è aumentato il tasso di fiducia nei media (dal 45% al 57%); il fatto è che sono le fonti di informazione tradizionale a farla ancora da padrone. Sono quindi incuriosito dagli esiti dell'esperimento de il Fatto Quotidiano. Sono sicuro, intanto, che un ruolo importante sia quello delle testate che si candidano, in nome della trasparenza, a guida per i cittadini in questa giungla informativa con un forte impegno nella riqualificazione dell'informazione in senso etico. Una guida che, in uno scenario come quello rappresentato dalla ricerca condotta dal Gruppo di lavoro su Qualità dell’ informazione e pubblicità del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti insieme all’ Università di Urbino Carlo Bo, dall’équipe di ricerca guidata da Giovanni Boccia Artieri; una guida, dicevo, quanto mai opportuna.
Ci vuole una guida, quindi. Come quando visitiamo un posto nuovo, in cui non capiamo la lingua e non conosciamo le tradizioni. E bisogna anche riconoscerne il valore. Ecco perchè voglio chiudere con una argomento a me molto caro: il portale italiano del turismo, italia.it: pare che il nuovo ministro abbia buone intenzioni. Gli dobbiamo credere?
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