Se ci si riferisce alle primarie appena celebrate, credo che i social non abbiano avuto quasi peso, per i referendum credo siano stati determinanti (gli altri media ne parlavano pochissimo) [Gabriele]
D’accordissimo sul fatto che i social media non possano essere un punto di osservazione per capire un indirizzo di voto, sia perchè non sono un campione rappresentativo degli effettivi elettori (anche per una questione generazionale) sia perchè sui social non tutti scrivono o lasciano intendere le proprie intenzioni di voto. Inoltre c’è un problema alla base e cioè come vengono interpretati i dati. [Giorgio]
Gabriele e Giorgio sono soltanto due delle voci dell'interessante discussione riproposta da Arianna Ciccone e stimolata da un quesito quanto mai ben posto: Ma quindi l’uso dei social network sposta o non sposta voti? Se penso alle ultime tornate elettorali, tra primarie, elezioni politiche, europee, referendum e amministrative, è quasi sempre andata allo stesso modo: il web non è un buon predittore del risultato finale. Per quanto non sia particolarmente interessato alla predizione, devo rilevare che le uniche occasioni (almeno i casi da me personalmente osservati) in cui realtà offline e realtà online sono andate d'accordo, le abbiamo avute con il voto referendario e quello amministrativo di Milano e Napoli. L'impressione che il
Darei infatti molto credito alla più recente ipotesi di Dino Amenduni che, sulle primarie, sostiene che "Ha vinto il candidato (tra i tre principali contendenti) con il numero più basso di ‘mi piace’ su Facebook e follower su Twitter, sia per dato assoluto che per incremento medio giornaliero. Con buona pace di twitterometri, Klout, hashtag giornalieri e analisi del sentiment. Questo, a mio avviso, è il dato politico più potente di queste Primarie: esiste uno scollamento forte, abbastanza atipico nei paesi occidentali, tra il comportamento dell’elettorato (di centrosinistra) e ciò che accade online."
L'aver ristretto al solo popolo di centrosinistra il campione oggetto dell'osservazione fa evidentemente la differenza.
Ma a mio avviso non c'è soltanto questo. Infatti, dopo aver dedicato personalmente attenzione ad eventi come le primarie per l'elezione del Segretario del Partito Democratico del 2007 e del 2009 (vittorie di Veltroni e Bersani contro i pronostici web-based che avrebbero invece designato, rispettivamente, Adinolfi e Marino), alle elezioni politiche del 2008 (Veltroni sembrava avvantaggiato sul Web ma poi vinse Berlusconi) e alle europee del 2009 (il sondaggio Facebook diede risultati diversi, in termini percentuali, da quelli delle cabine elettorali); dopo avere seguito le analisi che, con più mezzi e professionalità, Vincenzo Cosenza ha proposto più di recente (qui e qui), è forte la sensazione che il Web intepreti meglio la realtà e riesca anche ad anticipare il risultato solo quando l'oggetto del racconto online e quello del racconto mainstream (diciamo, impropriamente, offline) sono antagonisti; al contrario, sembra che l'offline smentisca l'online quando gli oggetti dei racconti coincidono.
Quanto, infatti, in special modo le tv, hanno saputo (e voluto, d'accordo con i partiti dell'Arco Costituzionale) coprire i referendum? Quanta attenzione hanno poi dedicato, rispetto a quanto fatto in quest'ultimo mese per le primarie, alle amministrative di Napoli e Milano? Poca cosa, c'è da dirlo! E quanto, in questi due specifici casi, il risultato elettorale, quello offline, ha seguito l'onda online? Tantissimo.
Una dicotomia che, nel prestarsi ad interpretazioni che ne ricerchino le cause (la Social TV è una chiave possibile), mi sembra intanto lampante, evidente.
Quasi a conferma di questa sensazione, Luca Alagna, sempre sulle primarie del centrosinistra, dice: "Il candidato con meno appeal online, stando ai parametri più quantitativi, non solo vince a man bassa (60 a 40) ma in realtà secondo i sondaggi non è mai stato in discussione. Tutto era iniziato, in Italia, col referendum su acqua e nucleare a giugno 2011, snobbato come tante altre volte dai dirigenti dei partiti e dai mass-media ma giunto al successo anche grazie al passaparola online."
Forse è questa la ragione per cui Giovanni Boccia Artieri consiglia di non affidarsi soltanto all'online per intepretare la realtà: l'oggetto del racconto, integrando l'online e l'offline, di fatto, è soltanto uno e non ha più senso ragionare come se ce ne fossero di separati, di diversi. Negli Stati Uniti lo sanno già; lo sa specialmente Michael Slaby, Chief Integration and Innovation Officer della campagna di Obama del 2012 che ha dichiarato: “Nel 2008 abbiamo sposato le nuove tecnologie e ne abbiamo innalzato il livello. Nel 2012 abbiamo integrato i vari dipartimenti che erano separati”. Ovvero, come ha raccontato anche un servizio di Time, nel 2008 i database a disposizione della squadra (quello dei finanziatori, per esempio, o dei possibili elettori da contattare telefonicamente) erano separati; il grande sforzo in del 2012 è stato unire il tesoro di dati accumulato in un unico archivio (ribattezzato Narwhal) da usare come fondamenta di tutti gli strumenti impiegati nella campagna: dalle email per chiedere fondi, alle telefonate per sollecitare il voto, alla propaganda porta a porta, alle app."
Ogni contributo è gradito per sviscerare un argomento che potrebbe aiutare anche nella lettura del fenomeno Grillo e del suo Movimento e, magari, nel discernimento di altri fenomeni che fanno la realtà in cui siamo immersi.
1 commento:
A una prima lettura la mia conclusione, animata da un desiderio di semplificazione estrema, è che la "CO"municazione "solo" online [ICO] e la "co"municazione "solo" offline [ico] sono due estremi che hanno bisogno di un punto di equilibrio.
La COmunicazione "ICO" tende a massimizzare valori del futuro, come Interoperabilità e COoperazione, ma al momento è prerogativa di un popolo "geek", che lasciato da solo potrebbe allontanarsi pericolosamente dal "reale".
La comunicazione "ico" tende a conservare valori del passato, come individualismo e competizione, ma al momento è la palla al piede di un popolo "lasciato indietro" dall'evoluzione tecnologica, per mantenerlo in un ruolo "consumer" che lo allontana pericolosamente dal beneficiare del potenziale del "virtuale".
Purtroppo anche questa mia semplificazione estrema è difficilissima da tradurre in iniziative di bilanciamento tra processi "ICO" e "ico".
Ne sto parlando con Filippo Albertin, a proposito di L'egoismo è finito, la nuova civiltà dello stare insieme
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